Joe Biden durante tutto il suo mandato ha tenuto a debita distanza Erdoğan. Nella lunga lista delle criticità tra Ankara e Washington pesa non poco la delusione del presidente turco per non essere riuscito a stabilire con lui un giusto feeling come aveva fatto con Trump, col quale vi era un costante dialogo. L’invasione russa dell’Ucraina ha acceso i riflettori sul prezioso status della Turchia come potenza regionale e dunque Erdoğan pensa che gli Usa possano accontentarlo su alcuni dossier.

I missili del 2019 e le sanzioni statunitensi

Le relazioni tra Stati Uniti e Turchia sono precipitate quando Ankara ha deciso di acquistare un sistema missilistico russo nel 2019, facendo scattare le sanzioni statunitensi. Dopo che Joe Biden è diventato presidente, la sua amministrazione ha tenuto Erdoğan a distanza, segnalando in questo modo la disapprovazione per l’arretramento democratico della Turchia e il crescente coinvolgimento con la Russia. Dopo il pogrom di Hamas del 7 ottobre nei kibbutz israeliani le dure critiche di Erdoğan al sostegno degli Stati Uniti all’operazione militare israeliana anti-Hamas nella Striscia di Gaza – combinate con il suo abbraccio pubblico ad Hamas – hanno reso più difficile per Washington ammorbidire l’approccio verso la Turchia, soprattutto in piena campagna per l’elezione alla Casa Bianca. All’inizio di quest’anno lo slancio positivo nelle relazioni ha iniziato a crescere quando Ankara ha accettato di porre fine al braccio di ferro durato un anno alla richiesta della Svezia di aderire alla Nato e Washington ha approvato in cambio l’acquisto da parte della Turchia di aerei da combattimento F-16.

Una relazione aperta

Nel caos globale, né la Turchia né gli Stati Uniti possono permettersi il lusso di rimanere estranei. Per Ankara, legami più forti con Washington l’aiuterebbero a bilanciare una Russia dalla mentalità imperiale, a stimolare la crescita economica e a mantenere il suo punto d’appoggio in qualsiasi futuro ordine di sicurezza europeo. Che sia Kamala Harris o Trump il nuovo inquilino della Casa Bianca, un ritorno alla ferrea alleanza della Guerra Fredda tra i due paesi non è più considerata da Ankara una possibilità. Quello che vi potrà essere è una relazione nuova e matura, che sia più transazionale e consenta l’infedeltà occasionale: una relazione aperta è considerata sia ad Ankara che a Washington un’alternativa migliore rispetto alla separazione, che lascerebbe la Turchia isolata e gli Stati Uniti privati di un partner regionale capace. Ad ogni modo con un nuovo presidente ci dobbiamo aspettare certamente un reset nelle relazioni e se la Turchia manterrà un’inclinazione verso l’Occidente allora gli Stati Uniti potrebbero raccogliere significativi vantaggi geopolitici.

La maggiore criticità

Il sostegno degli Stati Uniti alle Forze democratiche siriane (SDF) guidate dai curdi rimarrà la maggiore criticità in cima all’agenda tra Turchia e Stati Uniti. Le SDF sono il principale alleato della coalizione sostenuta dagli Stati Uniti nella guerra contro lo Stato islamico, ma la Turchia considera la spina dorsale del gruppo armato, le Unità di protezione popolare (YPG), così come il suo braccio politico, il Partito di unità democratica (PYD), organizzazioni terroristiche a causa dei loro legami con il fuorilegge Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK). Gli sforzi della Turchia per convincere Washington a porre fine alla sua alleanza con le SDF e a ritirare le sue truppe dalla Siria settentrionale sono finora falliti.

La partnership con gli Stati Uniti

Se la nuova amministrazione statunitense decidesse il ritiro completo dal Medio Oriente la cooperazione della Turchia potrebbe comunque essere utile per limitare l’influenza iraniana. Insieme alla Russia, l’Iran è il principale sostenitore del presidente siriano Bashar al-Assad. Il ruolo della Turchia aumenterebbe perché – dal punto di vista degli Stati Uniti – Ankara impedirebbe la creazione di un ponte terrestre iraniano verso la Siria attraverso l’Iraq. Anche se ciò comporterebbe una riconsiderazione delle relazioni degli Stati Uniti con le YPG, perché questa è la “conditio sine qua non” della Turchia per una partnership con gli Stati Uniti in Siria e Iraq, dove in quest’ultimo paese Ankara sta lavorando al progetto Development Road per indebolire l’influenza iraniana, grazie a un corridoio di trasporto energetico (stimato in 20 miliardi di dollari) che si estende per 1.275 chilometri dalla provincia di Bassora, ricca di petrolio, nell’Iraq meridionale alla Turchia tramite strada e ferrovia. Ciò contribuirebbe a isolare l’Iran nella regione. È la strategia del “Denaro contro armi”: la Turchia estende la sua influenza portando sviluppo e denaro, mentre l’Iran porta i proxies, le guerre e il terrore. Questa costruzione di influenza turca in Iraq sarebbe supportata dagli Stati Uniti e un qualcosa di analogo potrebbe accadere in Siria, soprattutto se vincerà Trump.

Gli Usa e l’Unione europea possono ancora sfruttare le ambizioni di autonomia strategica di Erdoğan per aiutare a bilanciare l’influenza cinese, iraniana e russa in Africa, Asia centrale e Medio Oriente. La posizione geografica del paese, il suo peso regionale e la sua crescente capacità industriale – soprattutto nel settore della Difesa – rendono la Turchia un partner prezioso per Washington e Bruxelles per navigare nel multipolarismo e in questa fase di disordine globale.