Una vita da cronista
Fabio Postiglione, gavetta, scoop e via Solferino: Napoli piange il giornalista che ce l’aveva fatta
E’ stato e resterà un esempio, una guida, un faro in un mondo, come il nostro, dove non è scontato, soprattutto oggi, trovare maestri e colleghi pronti a indirizzarti.

“Fratellì, tutto bene? Senti una cosa…”. Iniziavano spesso così le conversazioni con Fabio Postiglione, cronista del Corriere della Sera morto a 44 anni a Milano dopo essersi scontrato con un suv, che probabilmente gli ha tagliato la strada, mentre era alla guida del suo scooter. Fabio era quello che ce l’aveva fatta. Una lunga gavetta la sua: gli inizi a Il Roma, gli scoop continui di nera e giudiziaria, la collaborazione con il Corriere del Mezzogiorno, poi il salto e l’assunzione per quasi due anni a Matera, dove coordinava le pagine del Cormezz nell’anno da capitale della Cultura della città lucana, infine l’approdo, a 40 anni, a Milano, in via Solferino, sede storica della redazione del Corriere della Sera, dove era tra i giornalisti più giovani.
Fabio era e resterà un esempio per le nuove generazioni di cronisti. Sempre disponibile a dare consigli, a passare contatti di una rubrica, la sua, infinita. Mai saccente né presuntuoso, era un ragazzo umile e determinato della Torretta che sin da piccolo ha cullato il sogno di fare il giornalista e di seguire quella cronaca che a Napoli ti lascia senza fiato. Eravamo amici, ci siamo conosciuti sul ‘campo’ e poi, a poco a poco, abbiamo iniziato a condividere informazioni (ovviamente più lui), aperitivi, stadio e tanto altro. Era un fiume in piena, un mix perfetto di professionalità e goliardia. Riusciva con una frase a rendere tutto più leggero, a farti vedere le cose da una prospettiva diversa, a rendere meraviglioso e appassionante un mestiere complesso e precario. Non mollava nulla, era sempre operativo perché consapevole degli enormi sacrifici che aveva fatto per arrivare in alto.
Al Corriere della Sera i primi anni lavorava nell’Ufficio Centrale e usciva da redazione alle 3 di notte perché “c’erano da curare le edizioni internazionali”. Alle 8 del mattino, ma anche prima, era già attivo. Pronto a verificare e approfondire i fatti di cronaca, a studiare le ordinanze e a lanciare indiscrezioni. Questo era Fabio. Uno scugnizzo che amava la sua Napoli anche se viveva a centinaia di chilometri di distanza. Aveva un rapporto totalitario con la città. Dalla passione per la squadra azzurra e la curva B all’amore per la cucina e per quei vini che conosceva quasi alla perfezione. Spesso amava iniziare le sue giornate a Largo Sermoneta, sul lungomare. Caffè, sigaro e via. Quando ti vedevi con lui provavi pure a non parlare di lavoro ma poi alla fine era una rassegna stampa continua. Dagli aneddoti sulle prime faide di Scampia, dove c’erano più omicidi al giorno e lui, sulle pagine de Il Roma, seguiva tutto con cura maniacale, ai fatti del giorno dove, da primo (riconosciuto) delle classe, riusciva sempre ad ottenere informazioni e dettagli prima degli altri. A volte ti spiazzava per la velocità con cui lanciava aggiornamenti e dava ‘buchi’ alla concorrenza. C’era un morto ammazzato e nel giro di un’ora sapeva già nome, cognome, dinamica e presunti legami con la criminalità organizzata. Andava sempre oltre, spinto da quella curiosità che è forse la caratteristica principale del giornalismo. Curiosità più forte delle minacce che ha ricevuto in passato quando esponenti della camorra si presentavano fuori la redazione del suo giornale, in via Chiatamone, per ‘sensibilizzarlo’. O quando, dopo la sua giornata di lavoro, trovava auto e scooter sfregiati da chi voleva zittirlo.
La forza di Fabio è che collaborava con tutti, dal piccolo giornale locale al media nazionale. Era sempre pronto a passare informazioni ma “occhio a se scrivi qualcosa, sii prudente”. E’ stato e resterà un riferimento, una guida, un faro in un mondo, come il nostro, dove non è scontato, soprattutto oggi, trovare maestri e colleghi pronti a indirizzarti. Bastava aprire ieri Facebook per capire l’enorme affetto manifestato dai tanti colleghi che hanno avuto modo di conoscerlo in tutti questi anni. Perché Fabio è quello che ce l’ha fatta, quello partito dal nulla, dal precariato, e arrivato, a suon di notizie, nella redazione del più grande giornale nazionale. Lì, da poco più di un anno, aveva iniziato ad occuparsi delle pagine di Cronaca e, settimana dopo settimana, era diventato un punto di riferimento anche per colleghi più esperti. La sua postazione era un piccolo altarino partenopeo che rivendicava con orgoglio.
La sera dell’incidente ero con ‘compare’, Luigi Nicolosi (amico e collega de Il Roma e Corriere del Mezzogiorno), probabilmente il giornalista che ha lavorato più a stretto contatto con Fabio in questi anni. Parlavamo del suo ‘successo’, della scalata ai vertici del giornalismo, dell’esempio che rappresenta per noi. Poi la mattina dopo la telefonata che distrugge tutto e ti fa capire che la vita è crudele, infame.
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