Persone ingiustamente arrestate, vite distrutte dalla furia delle Procure, diritti calpestati da chi sarebbe chiamato a tutelarli. Senza dimenticare i milioni di euro sborsati dallo Stato – cioè dai contribuenti, cioè da ognuno di noi – per rimediare agli errori commessi da una magistratura la cui credibilità è stata già abbondantemente demolita dagli opachi rapporti con la politica e dagli scandali denunciati dallo “zar delle nomine” Luca Palamara. Tutto ciò, in una città normale, basterebbe a scatenare l’indignazione dell’opinione pubblica. Spingerebbe studenti, intellettuali e magari anche qualche politico a scendere in piazza e a impegnarsi per una giustizia più sana, equilibrata, rispettosa. A Napoli, invece, accade l’esatto contrario. Quello partenopeo è in cima alla classifica dei distretti di Corte d’appello dove, ogni anno, si conta il maggior numero di errori giudiziari. Nel 2020 sono stati 101, il che significa che 101 innocenti sono ingiustamente finiti in cella e, in un secondo momento, lo Stato li ha indennizzati con una manciata di euro.

Si tratta di un tema di cruciale importanza per la tenuta democratica di una comunità. Eppure, a fronte dello sdegno di qualche addetto ai lavori, non si registra una sufficiente indignazione da parte dell’opinione pubblica e delle figure istituzionali che potrebbero offrire un contributo decisivo per una “giustizia più giusta”. Non parla il sindaco ed ex pm Luigi de Magistris che di solito non perde occasione per denunciare le disfunzioni di un sistema giudiziario di cui si sente vittima. Silenzio anche da parte del governatore Vincenzo De Luca che prende posizione su questioni giuridiche importanti come la riforma dell’abuso d’ufficio e la semplificazione amministrativa, ma ignora il numero spropositato di innocenti che finiscono in carcere nella sua regione. In generale è l’intera classe politica campana a chiudere gli occhi davanti all’escalation di errori giudiziari, presa com’è dal dibattito interno in vista delle prossima tornata elettorale. D’altra parte Enrico Costa, il deputato che ha denunciato il boom di errori giudiziari e proposto un disegno di legge sulla responsabilità dei magistrati, è nativo di Cuneo, non proprio a due passi da Napoli. Tacciono anche gli intellettuali che si confrontano sul divario tra Nord e Sud, sui progetti da finanziare attraverso il Recovery Fund e sulle strategie indispensabili per risollevare Napoli, salvo poi dimenticare che la battaglia per una giustizia giusta che è e resta la madre di tutte le battaglie. Autocritica da parte della magistratura, magari dall’Anm? Macché, nemmeno a parlarne.

È in questo silenzio, per certi versi complice e per altri vigliacco, che dovrebbe levarsi la voce dell’arcivescovo Mimmo Battaglia. Su queste stesse colonne si è espresso don Franco Esposito, direttore della pastorale carceraria della Curia partenopea: un intervento autorevole e appassionato, ma non basta. Da don Battaglia, che ha inaugurato il proprio ministero pastorale a Napoli visitando le carceri, ci si aspettano parole coraggiose, capaci di spingere il Parlamento ad assumere piena consapevolezza del dramma degli innocenti in cella e ad assumere le necessarie contromisure. All’atto del suo insediamento l’arcivescovo ha invitato i politici a «fare i miracoli» per la città, precisando che «il vero miracolo è accorgersi degli altri ed essere attenti ai bisogni degli altri». In una Napoli che fa calare il velo del silenzio sul dramma degli innocenti in carcere, è indispensabile una presa di posizione forte: ecco il miracolo che chiediamo a tutti, don Battaglia incluso.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.