L'inchiesta
Troppi innocenti in cella, a Napoli in fumo altri 3 milioni di euro per errori giudiziari
Non sarà un record assoluto, ma si tratta comunque di una cifra allarmante. Sia perché quei soldi escono dalle tasche dei contribuenti sia perché rivelano migliaia di errori giudiziari. Tre milioni di euro: a tanto ammontano gli indennizzi liquidati nel 2020, nel distretto di Corte d’appello di Napoli, a decine di persone ingiustamente private della libertà. Ad anticipare il dato, destinato a confluire a breve nella relazione predisposta dal Ministero della Giustizia, è Giuseppe De Carolis di Prossedi, presidente della Corte d’appello di Napoli.
Per la precisione si tratta di due milioni e 900mila euro: una cifra molto elevata in assoluto, eppure più bassa di quella record registrata nel 2019, quando alle persone ingiustamente arrestate furono versati circa tre milioni e 200mila euro. A ogni modo, i dati relativi agli ultimi due anni evidenziano un trend in crescita se si pensa che, nel 2018, gli indennizzi liquidati nel distretto di Corte d’appello di Napoli non superarono i due milioni e 400mila euro. Che cosa significa tutto ciò? Semplice: l’azione penale non è stata esercitata in modo corretto o misure cautelari come la custodia in carcere o gli arresti domiciliari non sono state adottate nel rispetto della legge. In entrambi i casi, un magistrato non ha fatto bene il proprio lavoro e qualcuno si è trovato improvvisamente e ingiustamente dietro le sbarre con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano personale e professionale.
Non c’è da meravigliarsi, d’altra parte, se le carceri regionali scoppiano e se la metà dei detenuti si trova in cella in attesa di giudizio: secondo l’ultima relazione del garante regionale Samuele Ciambriello, a fronte di una capienza regolamentare di 6.156 persone, nelle 15 prigioni della Campania si registrano 6.329 reclusi di cui 2.349 in custodia cautelare. Tutto normale? Certo che no. «Certe statistiche – sottolinea Marco Campora, presidente della Camera penale di Napoli – dimostrano l’uso eccessivo delle misure cautelari che per troppi anni è stato fatto e che, insieme con le lungaggini dei processi, finisce per devastare le vite degli imputati». Il problema è che difficilmente poche migliaia di euro riescono a ripagare una persona ingiustamente arrestata e sbattuta in prima pagina, soprattutto nell’ipotesi in cui il processo sia durato anni e anni. «Tutto ciò è intollerabile – conclude Campora – Per ristabilire i principi costituzionali bisogna ridurre la durata dei processi attraverso una riforma organica della giustizia e una svolta rispetto a quella cultura che ha portato gli ultimi governi a dilatare la durata della prescrizione».
Contro certe storture punta il dito anche De Carolis, secondo il quale è lo stesso sistema giudiziario ad alimentare casi di ingiusta detenzione. «Basti pensare al fatto che i gravi indizi di colpevolezza legittimano la custodia cautelare ma non una successiva sentenza di condanna, senza dimenticare che il materiale probatorio vagliato durante le indagini è diverso da quello analizzato nel corso del dibattimento – spiega il presidente della Corte d’appello partenopea – Tutto ciò sarebbe meno insopportabile se il processo seguisse immediatamente le indagini e si svolgesse rapidamente». Per ridurre le riparazioni per l’ingiusta detenzione, dunque, occorre celebrare i processi con più velocità. Nel frattempo, però, bisogna smaltire le centinaia di domande attraverso le quali, ogni anno, molte persone chiedono di essere indennizzate per il fatto di essere state ingiustamente arrestate.
Ecco perché il presidente De Carolis ha istituito un collegio specializzato che dovrà occuparsi esclusivamente delle istanze di riparazione per l’ingiusta detenzione. In precedenza, infatti, questa materia era affidata alla sezione Minori e Famiglia che però, essendo oberata di lavoro, non riusciva a dedicare la giusta attenzione alle istanze presentate dalle (presunte) vittime della giustizia. Il nuovo collegio istituito, di cui De Carolis sarà presidente, dovrà segnare su un tema particolarmente delicato: «L’obiettivo- conclude il presidente della Corte d’appello – è fare in modo che gli aventi diritto ottengano la riparazione per l’ingiusta detenzione in maniera più rapida e senza il rischio di disparità di trattamento».
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