Il caso di Vallo della Lucania
Tribunali lumaca: senza riforme e investimenti addio giustizia
Ha destato particolare scalpore e meraviglia un articolo, pubblicato sulle pagine napoletane del Riformista, che evidenziava il record poco invidiabile detenuto dal Tribunale di Vallo della Lucania: da 55 anni una causa riguardante questioni ereditarie, incardinato nel 1966, è ancora senza sentenza. Il motivo del clamoroso ritardo sarebbe da ascrivere alla carenza di giudici e cancellieri che avrebbe portato quell’ufficio ad accumulare, negli anni, un arretrato di 1.500 fascicoli per ciascuno dei dodici togati della pianta organica cilentana. Ma dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che la giustizia in Campania e al Sud, ma non solo, sconta mali atavici che allungano a dismisura i tempi del processo, arrivando a una vera e propria denegata risposta alle richieste di tutela dei diritti da parte dei cittadini, soprattutto di quelli meno abbienti. E la pandemia ha messo semplicemente a nudo questa immensa vergogna, relegando la giustizia a cenerentola della pubblica amministrazione.
A Napoli, per esempio, in Tribunale non si possono regolarmente celebrare i processi perché, come evidenziato più volte, ci si trova in un edificio sviluppato in verticale che ha mostrato tutta la sua vulnerabilità soprattutto in questo periodo emergenziale. A tutto ciò si è tentato di sopperire con la fissazione di udienze a trattazione scritta. La situazione più inaccettabile riguarda i procedimenti penali in Tribunale e quelli di fronte ai Giudici di pace, sia civili che penali. Nel penale, infatti, i canali telematici poco si adattano alla necessità di svolgere le attività di persona e, comunque, si registrano serie difficoltà per fissare un appuntamento con gli uffici o per essere ricevuti per gli adempimenti. Tutto ciò ha portato al giudice monocratico napoletano un arretrato di oltre 34mila pendenze.
Ancor più drammatica è la situazione dei Giudici di pace dove la telematizzazione è una chimera: questo processo di innovazione non è neanche partito, nonostante la grande mole di controversie di cui quei magistrati si occupano, spesso non potendo nemmeno prescindere dalla trattazione in presenza. E così, da un lato, c’è la fissazione di un tetto massimo di dieci cause che possono essere trattate da ciascun giudice, con il sistematico rinvio delle restanti che rappresentano anche l’80%; dall’altro, si registrano ritardi nelle iscrizioni a ruolo delle nuove cause o, in caso di pronta iscrizione, le prime udienze slittano e vengono fissate con tempi biblici.
In definitiva, non c’è più tempo di meravigliarsi ma bisogna sviluppare un piano per spendere le risorse del Recovery Fund in arrivo senza sprechi, in attesa delle grandi e necessarie riforme del processo civile, di quello penale e dell’ordinamento giudiziario. O il nuovo governo si decide a considerare come primari ed essenziali la manutenzione e la messa in sicurezza degli edifici della giustizia, il reclutamento di giudici e di personale amministrativo e, soprattutto, la digitalizzazione anche dei procedimenti che pendono davanti ai vari uffici del Giudice di pace che a oggi ne sono del tutto sprovvisti, o il nostro resterà un Paese da terzo mondo in materia di giustizia, in barba alla nostra Costituzione repubblicana. Del resto, al nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi e alla guardasigilli Marta Cartabia non sfugge che la giurisdizione non è soltanto una funzione primaria dello Stato al servizio della società, ma costituisce un elemento primario di competitività del nostro sistema economico.
© Riproduzione riservata