La giustizia lumaca
Giustizia lumaca, nel 2020 a Napoli bruciati già 4 milioni
In Germania un giudice civile tratta in media cento cause l’anno. A Napoli, invece, le voragini nella pianta organica costringono i magistrati della Corte d’Appello a gestire fino a 530 contenziosi. Non c’è da meravigliarsi, dunque, del fatto che, nel capoluogo campano, certi procedimenti durino anche decenni. E non c’è da meravigliarsi nemmeno del fatto che, sempre a Napoli, il numero delle domande di indennizzo per l’eccessiva durata del processo sia in costante aumento da almeno tre anni a questa parte. Ecco la giustizia “ad andamento lento” di casa nostra, immortalata nell’ultimo report stilato dai vertici della Corte d’Appello. Sono migliaia le persone che si appellano alla legge Pinto, quella che definisce la ragionevole durata dei processi e offre la possibilità di chiedere e ottenere dallo Stato un ristoro (almeno economico) dopo anni di eventuali lungaggini. Nel 2019 le istanze hanno toccato quota 2.522, in crescita rispetto all’anno precedente, quando erano state 1.819, e in costante aumento negli ultimi anni, se si pensa che al 30 giugno 2016 erano state 1.354.
«Questo elevatissimo numero di domande, talvolta replicate in più fascicoli anche quando si tratta di casi generati da una stessa vicenda processuale a monte – si legge nel report stilato dai magistrati – rende complessa e lenta pure la fase di liquidazione». A proposito, quanto spende lo Stato per indennizzare le persone costrette a sopportare l’altissimo costo sociale ed economico di anni e anni di cause civili? La legge Pinto dà diritto a 500 euro di indennizzo per ogni anno di ritardo oltre i due anni. Se ogni giudice deve gestire 530 fascicoli l’anno, come rivela il report della Corte d’Appello di Napoli, presumibilmente riuscirà a emettere una sentenza per non più di cento cause. Il che vuol dire che migliaia di contenziosi sono destinati a superare il limite di due anni oltre il quale la legge riconosce l’equo indennizzo. Nel 2020 la Corte d’Appello partenopea ha già pagato quasi quattro milioni di euro e, di qui alla fine dell’anno, si appresta a emettere altri 800 decreti di liquidazione dell’indennizzo “a cifre blu”.
Le ragioni alla base di questa esasperante lentezza sono presto dette. Il carico di lavoro al quale sono sottoposti i giudici civili napoletani è estremamente alto. Il Tribunale ha visto aumentare le pendenze da 122.171 a 124.347 dal 2018 al 2019. In Corte d’Appello, invece, le cause in attesa di sentenza si sono ridotte di poco più del 33% dal 2016 al 2019, ma il loro numero assoluto – cioè 39.961 – resta enorme a fronte dei 51 magistrati addetti alla materia civile e dei 24 chiamati a occuparsi di diritto del lavoro. Il discorso, però, non è solo di carattere “aritmetico”. Materie come diritti reali, successioni e divisioni ereditarie e rapporti bancari sono tradizionalmente assai ostiche e richiedono più tempo perché si giunga a una sentenza. «Nel 2019 ho risolto una divisione ereditaria avviata nel 1987 – racconta il civilista Antonio Tafuri, presidente del consiglio dell’Ordine degli avvocati di Napoli – mentre attualmente pendono in Cassazione un giudizio su un’altra divisione ereditaria e su una compravendita immobiliare cominciate entrambe all’inizio degli anni Novanta».
E non bisogna dimenticare le esecuzioni mobiliari, immobiliari e presso terzi che, a Napoli, per le parti in causa comportano un’attesa media di quattro o cinque anni che vanno a sommarsi a quelli necessari per giungere a una pronuncia definitiva della magistratura. Tempi biblici, dunque, che contribuiscono a piazzare l’Italia dietro Bosnia e Grecia nella poco lusinghiera classifica dei Paesi europei dove la giustizia risulta più lenta e macchinosa. E che, già nei prossimi mesi, costringeranno l’erario (cioè i contribuenti italiani) a sborsare altre decine di milioni di euro per gli indennizzi.
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