«Il tempo è denaro», scriveva il saggista e filosofo Francis Bacon nel ’500. Lo sosteneva due secoli dopo anche lo scienziato e politico americano Benjamin Franklin. E il detto sembra valere anche per indagini e processi. Secondo uno studio di Banca d’Italia, la giustizia lenta o poco efficiente ha conseguenze che si traducono nella perdita di un punto percentuale di pil, pesando quindi sullo sviluppo del Paese. Dove non c’è una giustizia rapida, è difficile che gli investimenti crescano e le imprese mettano radici. Il rapporto è più o meno questo: se la durata dei processi diminuisce del 10 per cento la dimensione delle imprese può crescere del due. Spostando l’obiettivo dal dato nazionale a quello locale napoletano si deve tener conto anche di una serie di altre variabili. Napoli è una città dove le imprese operano generalmente in un clima di sfiducia, il tasso di disoccupazione è elevatissimo, la camorra è sempre presente e le istituzioni spesso assenti. Procura e Tribunale si trovano a trattare un numero di procedimenti elevatissimi, tra i più alti d’Italia. Si indaga sugli aspetti più vari della vita della città, su iniziative economiche, collusioni sospettate, reati, violenze e l’elenco che prosegue è lunghissimo.

Sono tutte indagini necessarie? Se la domanda è legittima, la risposta si presta a soluzioni diverse a seconda della prospettiva da cui le cui si osserva. Ci vorrebbero proposte riformiste per cambiare il sistema giudiziario e far valere, per esempio, la responsabilità contabile dei magistrati. Questo in linea astratta, in concreto vige l’obbligatorietà dell’azione penale per cui, di fronte a una notizia di reato, il magistrato deve compiere indagini per verificare se sia o meno fondata. Ma deve valere, per le indagini preliminari come per il processo, il principio della “ragionevole durata”. La legge prevede, infatti, che non si possa essere indagati a vita. Basti pensare a quante indagini irrompono nelle vite, cambiano il corso di carriere professionali, stravolgono progetti, per poi risolversi in un nulla di fatto, in archiviazioni oppure assoluzioni. È nella fisiologia del nostro sistema giustizia, ma fa riflettere.

Le variabili, dicevamo, sono tante. Stando ai dati del 2019, sono le inchieste per reati di inquinamento ambientale quelle con tempi di definizione tra i più lunghi, le indagini per truffa le più numerose, quelle per associazione a delinquere semplice quelle più segnate da lungaggini che portano alla prescrizione, mentre le inchieste per corruzione e omissioni in atti d’ufficio sono, nella sfera dei reati contro la pubblica amministrazione, quelle che più si concludono in archiviazioni. In media un’inchiesta per camorra dura tra i 1.650 e gli 882 giorni, una per corruzione tra 1.963 e 860 giorni, una per reati ambientali tra i 1.600 e i 935 giorni. E se il tempo è denaro, ogni indagine va letta anche in termini di costi. A pesare di più sul bilancio economico di un’inchiesta penale sono le intercettazioni. In un anno, nel 2019, le richieste di autorizzazione a disporre intercettazioni sono state 1.509 per la Direzione distrettuale antimafia, 464 per indagini della procura ordinaria, 45 per la sezione antiterrorismo: totale 2.018.

Mentre le richieste di proroga avanzate dai pm napoletani sono state nel complesso 10.017, con una netta prevalenza di richieste nell’ambito di inchieste su camorra e collusioni. Si calcoli inoltre che, sempre nel 2019, sono stati 1.723 i procedimenti sopravvenuti, 1.704 quelli pendenti, 1.268 quelli iscritti, mentre per la procura ordinaria (che include le varie sezioni, dalla criminalità economica ai reati ambientali, dalla sezione lavoro a quella che si occupa di violenze di genere, alla sezione che persegue reati di criminalità comune) i procedimenti iniziali sono stati 10.912, quelli sopravvenuti 16.582 e quelli iscritti 13.442. Indagare costa. I trojan per captare telefonate e intercettare colloqui in ambientale hanno comportato, in un anno, una spesa di oltre 12 milioni e 300mila euro.

Nel 2019 sono stati messi sotto intercettazione 10.959 bersagli, fra utenze telefoniche, microspie piazzate in auto o appartamenti, e chat e strumenti telematici finiti sotto controllo. Svolgere indagini penali ha richiesto, in 12 mesi, una spesa di oltre 21 milioni di euro, inclusi circa 43mila euro di spese di cancelleria, 43mila e 900 euro per la sola carta per fotocopie, 29mila euro per materiale igienico sanitario, 50mila euro fra cartucce per fax e stampanti, oltre a onorari di ausiliari e indennità. E su oltre 109mila procedimenti definiti nel 2019, 73.572 si sono risolti in archiviazione e 22.123 in azione penale. È vero che bisogna indagare quando c’è una notizia di reato. Ma davvero si tratta sempre di procedimenti che non si sarebbero potuti evitare?

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).