Processi e indagini preliminari che durano troppi anni, intercettazioni che costano annualmente più di 12milioni di euro e che in diversi casi, come per le cosiddette intercettazioni a strascico, finiscono per essere ritenute inutilizzabili e non valide, la ripresa del lavoro in Tribunale ancora troppo lenta dopo i mesi di lockdown e dopo gli strappi tra avvocati e cancellieri sono alcune delle spine nel fianco di una giustizia che affanna. Il dietrofront, avvenuto l’altra sera, con la sospensione, decisa dal dirigente amministrativo, della decisione che la coordinatrice del settore penale del Tribunale di Napoli voleva adottare prevedendo il pagamento di una marca da 3,87 euro per conoscere per iscritto le date dei rinvii dei processi, è solo l’ultimo segnale del clima difficile che si respira. Quel punto è stato sospeso dopo la forte ondata di proteste da parte degli avvocati, sempre più delusi dai tempi stanchi della ripresa dell’attività del Palazzo di giustizia.

E poi c’è il carcere, con i finanziamenti per la struttura di Poggioreale fermi al palo da tre anni, con i disagi del sovraffollamento, il rischio che l’eco delle proteste che nei giorni scorsi hanno interessato il carcere di Santa Maria Capua Vetere possa in qualche modo diffondersi anche a Napoli, con il numero di suicidi in cella che continua ad essere un pericolo attuale, ancor di più a seguito del drammatico gesto computo da un detenuto a Napoli solo pochi giorni fa, e con le difficili condizioni di vita all’interno delle celle che rendono l’espiazione della condanna (ma anche l’attesa del processo, se si parla di detenuti in attesa di giudizio) qualcosa di più simile a una tortura che a un percorso di reinserimento nella società. Eccole alcune criticità della giustizia. Eccoli i nodi del sistema che occorrerebbe sciogliere. Per recuperare efficienza ed efficacia servirebbe una riforma seria, organica, per certi versi coraggiosa. Il Riformista ha raccolto pareri e proposte di esponenti napoletani del mondo della giustizia e con il magistrato Carlo Alemi, giudice in pensione, e con gli avvocati Bruno Von Arx, penalista e docente di diritto penale, Annamaria Ziccardi, presidente del Carcere possibile onlus, e Gennaro Demetrio Paipais, presidente dell’Unione giovani penalisti, ha approfondito una riflessione sulle più attuali criticità del sistema e individuato proposte per un futuro diverso del mondo della giustizia e di quello del carcere.

“Snellire le procedure per velocizzare i processi penali e le cause civili”
Carlo Alemi (già presidente del Tribunale di Napoli)

I tempi lunghi dei processi rendono spesso la giustizia poco tempestiva e quindi poco efficace. La media dei dibattimenti supera quello che la legge definisce “tempo ragionevole” e la mancanza di una riforma organica di tutto il sistema giustizia non consente di risolvere in maniera definitiva il problema. Per Carlo Alemi, magistrato dalla lunga esperienza, giudice in processi delicati e complessi che hanno riguardato gli anni più bui della nostra storia, dalle Brigate Rosse alla camorra di Cutolo, «il Coronavirus ha inciso in modo molto negativo sul mondo della giustizia ma ha dato una spinta ulteriore per l’informatizzazione e le procedure informatiche». A proposito di tempi e lungaggini dei processi, Alemi aggiunge: «Di questi argomenti e delle possibili soluzioni si parla da tempo, ma la prima proposta dovrebbe essere quella di semplificare le procedure perché così si riesce ad avere una causa o un processo, a seconda se parliamo di settore civile o penale, più rapida. Finora sono state fatte riforme che in teoria dovevano servire a snellire le procedure ma che nella pratica tutto hanno ottenuto tranne che quello. Inoltre, magistrati e avvocati dovrebbero cambiare mentalità perché non sempre sono propensi ad accelerare le procedure della giustizia».

“Udienze di pomeriggio e comunicazioni via pec per superare la fase di stallo”
Gennaro Demetrio Paipais (Unione dei Giovani Penalisti)

La fase 2 procede a rilento. E lo stallo vissuto dalla giustizia civile e penale è alla base dello scontro tra avvocati, magistrati e cancellieri. Qual è il punto di vista di Gennaro Demetrio Paipais, leader dei Giovani Penalisti? «Crediamo che anche il settore giustizia possa riprendere progressivamente con le udienze in presenza calendarizzate, anche di pomeriggio se necessario, e con il mero rinvio da comunicare ai difensori a mezzo pec per le sole prime udienze o per le udienza da rinviare. Anche gli adempimenti potrebbero essere svolti in presenza, facendo leva sul senso di responsabilità che contraddistingue la nostra categoria professionale. Infatti, la procedura telematica e il pagamento dei diritti di copia con modello F23 hanno determinato alcune criticità in ordine alle richieste urgenti degli atti. Si potrebbe, viceversa, depositare la richiesta di copia e i diritti di copia, per poi ricevere la copia dell’atto a mezzo pec. Queste e tante altre proposte potrebbero essere sviluppate da una commissione del Consiglio dell’Ordine e della Camera penale costituita con la finalità di formulare un documento di proposte da sottoporre al presidente del Tribunale. Ed è proprio per questo che chiediamo al Consiglio dell’Ordine e alla Camera penale l’istituzione di un gruppo di avvocati penalisti che possa evidenziare criticità e avanzare proposte».

“Bene i limiti fissati dalla Cassazione alle intercettazioni a strascico”
Bruno von Arx (docente di Diritto penale all’università Federico II)

Dal bilancio della Procura di Napoli emerge un largo uso delle intercettazioni. Basti pensare che, nel 2019, la Procura ha speso circa 12 milioni di euro per eseguirle. Eppure a gennaio, con la sentenza Cavallo, la Cassazione ha ribadito i limiti all’uso di questo mezzo di indagine. Ecco il punto di vista dell’avvocato Bruno von Arx: «Lo strumento di indagine delle intercettazioni telefoniche e ambientali è particolarmente subdolo e insidioso perché riflette sempre una realtà virtuale che è difficile interpretare nel suo peso reale. Sono senz’altro positivi gli interventi del legislatore e l’applicazione da parte dei giudici di strumenti e di leggi che impediscano il travaso e l’uso delle intercettazioni da un procedimento all’altro. E la lungaggine delle indagini è una conseguenza patologica dell’uso improprio che si fa delle intercettazioni. Per evitare che ciò accada, ci sono allo stato degli ostacoli che la giurisprudenza e le Sezioni Unite hanno posto in essere. Tuttavia, dipende soprattutto dalla prudenza e dalla capacità del giudice di comprendere l’importanza dello strumento investigativo. Uno strumento importante anche perché è nell’uso indiscriminato delle intercettazioni che si annida la genesi dell’errore giudiziario. E l’errore è possibile proprio perché, come dicevo, si insegue una realtà virtuale, che non può essere compresa fino in fondo attraverso il mezzo dell’intercettazione».

“Subito percorsi professionali per i detenuti appena usciti dal carcere”
Anna Maria Ziccardi (Il Carcere Possibile onlus)

Le carceri campane scoppiano. E, al loro interno, scarseggiano strutture e figure capaci di gestire il disagio psichico e il desiderio di reinserirsi nella società nutrito dai detenuti. Il Riformista ne parla con Anna Maria Ziccardi: «Rieducazione non è tra i termini che preferisco. Il carcere va pensato soprattutto per la sua funzione di reinserimento e su questo bisogna investire in termini di risorse e personale, ma anche di coraggio. Bisogna dare ai detenuti la possibilità di fare qualcosa che non sia destinato a rimanere nel carcere, ma diventi un’opportunità da coltivare anche all’esterno. Ai detenuti bisogna offrire un’alternativa reale, così che quel che hanno imparato in carcere possano realizzarlo anche fuori evitando che, una volta scarcerati, possano ritornare al pessimo percorso che li aveva portati in cella. Abbiamo un provveditore eccezionale, un bravo direttore del carcere a Poggioreale, da Roma sono arrivati i rinforzi per il trattamento dei detenuti: se sappiamo sfruttarle, le occasioni ci sono e questo è il lavoro più utile che c’è da fare. È però anche importante che l’opinione pubblica conosca e comprenda il valore della funzione di reinserimento del carcere. Perché ora i problemi del carcere nessuno li vuole sapere, la gente li vuole lontani ed è interessata solo a tenere dentro i detenuti come se questo bastasse a risolvere i problemi. Purtroppo quella del carcere è politica che non fa voti; invece, se la curassimo di più, l’integrazione sarebbe possibile e sarebbero possibili tante cose.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).