Certi pm devono mettersi l’anima in pace. E, soprattutto, devono rassegnarsi al fatto che ogni intercettazione telefonica e ambientale debba essere adeguatamente motivata e che non possa essere utilizzata per cercare reati, sacrificando ingiustamente la privacy delle persone e una serie di diritti tutelati dalla Costituzione. A ribadirlo è il Tribunale della Libertà di Napoli nel provvedimento con cui annulla gli arresti domiciliari inizialmente disposti dal gip di Torre Annunziata per Luigi Cesaro e Antonio Pentangelo, i parlamentari di Forza Italia coinvolti nell’inchiesta sulla riqualificazione dell’area ex Cirio di Castellammare. Ieri il deposito delle motivazioni con le quali il collegio formato dai giudici Antonio Pepe, Vito Purcaro e Alessandra Maddalena si è allineato alla Cassazione confermando l’inutilizzabilità delle cosiddette intercettazioni a strascico. Andiamo con ordine.

È il 2013 e, per conto della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, le forze dell’ordine stanno svolgendo una serie di intercettazioni nell’ambito di un’indagine su fatti di camorra. Quelle stesse conversazioni vengono poi utilizzate dalla Procura di Torre Annunziata nei confronti di Cesaro e Pentangelo ai quali si contesta il reato di corruzione nell’ambito della riqualificazione dell’area ex Cirio di Castellammare. Anzi, sulla base di quelle intercettazioni i pm oplontini chiedono gli arresti domiciliari per i due parlamentari secondo una prassi ormai consolidata: utilizzare tutte le intercettazioni a disposizione nascondendosi dietro l’originaria autorizzazione concessa dal gip. Eppure non funziona così. E le Sezioni Unite della Cassazione lo hanno specificato a gennaio con la cosiddetta sentenza Cavallo. Se non sussiste un legame forte e sostanziale tra l’originaria notizia di reato e quella per la quale si eseguono le nuove intercettazioni, queste ultime non possono essere utilizzate.

Tornando al caso concreto, tra le ipotesi di camorra per le quali si procedeva originariamente e quella di corruzione successivamente contestata a Cesaro e Pentangelo non c’è alcuna connessione. E quindi le conversazioni dei due parlamentari non potevano essere utilizzate per chiedere l’arresto. «Non emergono elementi – scrivono i magistrati del Riesame di Napoli – che giustificano la configurabilità di una delle ipotesi di connessione che avrebbe legittimato l’utilizzazione delle intercettazioni autorizzate per il diverso reato», cioè per l’associazione per delinquere di stampo camorristico. A questo punto è legittimo chiedersi su che cosa si fondassero le intercettazioni a carico di Cesaro e Pentangelo. La risposta è molto semplice: sul nulla. Già, perché, per poter essere svolte legittimamente, le intercettazioni devono essere autorizzate dal gip sulla base di gravi indizi.

E stavolta, stando a quanto osserva il Riesame, il pm non ha chiesto né il gip ha effettuato «alcun vaglio circa la sussistenza di gravi indizi del reato di corruzione» ipotizzato a carico di Cesaro e di Pentangelo. In altre parole, ancora una volta, pm e giudici hanno utilizzato le intercettazioni per cercare qualche reato, non per dare riscontro a eventuali gravi indizi di colpevolezza. Il che significa diverse cose. La prima? Il diritto alla riservatezza di Cesaro, Pentangelo e di quanti sono stati intercettati insieme con loro è stato illegittimamente compresso. La seconda: i pm hanno confermato la tendenza a un uso troppo largo delle intercettazioni, prassi illiberale e antidemocratica ma avallata da larga parte della classe politica.

Terza riflessione: quanti milioni di soldi pubblici vengono spesi, ogni anno, per captare conversazioni che successivamente non possono essere nemmeno utilizzate per gli scopi di legge? Insomma, la sentenza Cavallo dovrebbe far togliere certi vizi a certi magistrati che, anche quando indagano, dovrebbero muoversi nel perimetro della Costituzione e della legge. E in questo senso va il provvedimento con cui il Riesame ha annullato i domiciliari a Cesaro e Pentangelo. «Quando da una intercettazione per determinati reati emergono elementi nuovi – spiega Giovan Battista Vignola, il penalista che assiste Cesaro insieme con il collega Giuseppe De Angelis – quegli stessi elementi non hanno valore di indizio ma solo di notizia di reato che autorizza la Procura a svolgere nuove indagini». «Le intercettazioni – aggiunge Antonio Cesarano, difensore di Pentangelo – non possono essere usate in modo così invasivo». I pm italiani lo capiranno, prima o poi?

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.