Anche l’Europa bacchetta l’Italia per i risultati del suo sistema giudiziario. Il tema dei processi troppo numerosi e troppo lunghi è un argomento che ha una doppia rilevanza, non solo locale ma anche europea. Il nostro Paese è al ventiduesimo posto nell’Unione europea per numero di giudici ogni 100mila abitanti ed è anche tra i Paesi con il maggior numero di avvocati (se ne contano quattro ogni mille abitanti). Tanti giudici, tanti avvocati, quindi. Ma anche tante norme, circa 13mila tra i settori della giustizia penale, civile, amministrativa e tributaria. Una selva normativa, un surplus di leggi e regolamenti e decreti e normative nati troppo spesso più sull’onda dell’emergenza del momento che in un’ottica di sistema. Ed ecco che negli ultimi tempi è diventata attuale e diffusa l’esigenza di una inversione di rotta, di una riforma organica della giustizia, di un approccio diverso.

Lo dice anche l’Europa. Nel più recente quadro di valutazione Ue della giustizia, l’Italia non esce bene dal confronto con gli altri Stati membri sui temi della efficienza, della qualità e dell’indipendenza dei sistemi giudiziari. Eppure l’Italia è la patria del diritto, terra di cultura e tradizioni. Ma non basta più. Secondo l’Europa, il nostro Paese deve migliorare l’efficienza della giustizia e il funzionamento della pubblica amministrazione. Troppe leggi, troppi processi, procedure troppo lunghe, una scarsa capacità amministrativa e un basso livello di digitalizzazione: eccoli, secondo il quadro di valutazione Ue della giustizia 2020, i motivi delle inefficienze del nostro sistema giudiziario.

Ed ecco, di riflesso, i motivi per cui in Italia, e in particolare nel Mezzogiorno, si fa fatica a rilanciare l’economia e a sostenere progetti imprenditoriali. È la stessa Commissione europea a sottolineare, nel report che dal 2013 è uno degli strumenti con cui si monitorano Stato di diritto e riforme degli Stati membri, come un sistema giudiziario efficiente sia alla base di una economia capace di attirare imprenditori e investimenti. Anche il Riformista lo ha più volte ribadito raccontando la cronaca dei fatti e raccogliendo le riflessioni di autorevoli giuristi ed esponenti del mondo accademico. L’incertezza e la varietà delle decisioni giurisprudenziali, unite ai lunghi tempi dei processi, impediscono la crescita dimensionale delle imprese e rendono più difficili le condizioni di finanziamento per tutti, consumatori e imprese, incidendo negativamente anche sulle opere pubbliche.

In Europa l’Italia è 18esima per numero di cause in generale, e 19esima per durata stimata dei procedimenti collocandosi tra i Paesi con i tempi più lunghi. Questo dato si incrocia con quello dei processi pendenti, che è altissimo e dà la misura di quanti casi sono ancora sospesi in attesa di una risposta da parte della giustizia. Tutto questo incide anche in termini di costi. In Italia la giustizia costa nonostante il nostro sia un Paese con una forma di gratuito patrocinio che copre le spese legali, ma solo per le persone con un reddito che supera di poco più del 10 per cento la soglia di povertà. La recente emergenza-Covid, inoltre, ha fatto scoprire a ciascun tribunale italiano l’importanza della digitalizzazione ma i risultati come le dotazioni informatiche del nostro sistema giustizia sono ancora lontani dagli standard europei e i nostri tribunali sono solo 15esimi in Europa. Di qui l’esigenza di investire di più nella giustizia: l’Italia è all’11esimo posto nell’Unione europea per risorse finanziarie destinate al comparto giustizia.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).