Scoop di rilevanza mondiale o “patacca”? C’è da credere alla notizia riportata dal giornalista premio Pulitzer Seymour Hersh, decano dei giornalisti americani oggi 85enne, che gli Stati Uniti abbiano sabotato il gasdotto Nord Stream 2, danneggiato da una esplosione sottomarina lo scorso settembre nel pieno della guerra in Ucraina tra Kiev e Russia?

Secondo Hersh l’importante struttura che passa sotto il mar Baltico collegando Russia e Germania per il trasporto del gas, mai entrata in funzione proprio per lo scoppiare del conflitto, sarebbe stata sabotata per volere della Casa Bianca col supporto della Cia e dei governi di Norvegia, Svezia e Danimarca.

L’obiettivo, sempre secondo il giornalista, era quello di ‘slegare’ Berlino dalla dipendenza del gas russo, cosa poi effettivamente accaduto per lo stop anche al primo gasdotto Nord Stream e alle sanzioni internazionali imposte al Cremlino.

Ma al di là del racconto ‘geopolitico’, che pure ha un suo senso, lo scoop di Hersh poggia su basi traballanti. A partire dalla singola fonte riportata nel suo articolo, ovviamente anonima, e dall’assenza di documenti o elementi fattuali che possano supportare la tesi dell’85enne Hersh, vincitore del premio Pulitzer per il suo scoop sul massacro commesso nel 1969 dalle truppe americane nel villaggio vietnamita di My Lai e di numerosi altri premi.

Non è un caso se il giornalista sia stato di fatto costretto a pubblicare il suo “scoop” su Substack, piattaforma online per blogger: nessuno tra i quotidiani con cui ancora oggi collabora, tra cui il New York Times, ha accettato di pubblicare un articolo così sprovvisto di prove.

Dell’unica fonte citata per l’articolo non viene infatti specificato, neanche in termini vaghi, il suo ruolo nelle vicenda e perché sarebbe a conoscenza dei dettagli dell’operazione che avrebbe coinvolto anche i governi di Svezia, Norvegia e Danimarca.

Il ‘reportage’ di Hersh parte da presupposti veritieri, ovvero l’ostilità degli Stati Uniti nei confronti del gasdotto che avrebbe dovuto aumentare le importazioni di gas russo verso la Germania, aggirando tra l’altro Paesi ostili al regime di Mosca come Polonia e Ucraina.

Da questa base parte però un racconto lacunoso e inverificabile. Hersh scrive che l’amministrazione Biden già nel dicembre 2021, quindi prima dello scoppiare della guerra, aveva deciso di agire con un sabotaggio della struttura. La Cia sarebbe stata aiutata da forze speciali norvegesi, che avrebbero piazzato le cariche esplosive per danneggiare il gasdotto durante l’esercitazione Nato Baltops 2022, utilizzata come copertura.

Non a caso l’articolo di Hersh è stato accolto con forte scetticismo dai media internazionali e smentito rapidamente dalla stessa Casa Bianca, dalla Cia e dal Pentagono, che parlano di accuse “assolutamente false” e di “invenzioni”. Gli unici a sfruttare l’occasione sono ovviamente i russi, che tramite la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, chiedono una commissione d’inchiesta internazionale.

Sul sabotaggio del Nord Stream 2 resta certamente il mistero, visto che ad oggi non è chiaro cosa abbia provocato il suo danneggiamento, lasciando così lo spazio per scambi di accuse reciproci tra Stati Uniti e Russia. Nelle scorse settimane una indagine tedesca aveva evidenziato che non vi sono prove di un coinvolgimento di Mosca nel sabotaggio del gasdotto, ma gli stessi investigatori non hanno potuto accedere all’area dell’attacco perché in acque territoriali svedese, che hanno proibito ogni accesso. Da Stoccolma l’unica notizia filtrata è che l’attacco sia effettivamente il risultato di un sabotaggio, con tracce di esplosivo trovare intorno all’area danneggiata.

Quanto a Hersh, il problema col suo racconto deriva anche dalla fama sempre più scadente del giornalista negli ultimi a causa di scoop rivelatisi falsi. Due in particolare quelli che hanno affossato la sua reputazione: il primo nel 2013 in cui metteva in dubbio la versione ufficiale sugli attacchi chimici sul distretto ribelle di Ghouta in Siria, compiuti dal regime di Assad. Secondo il premio Pulitzer sarebbe stata opera degli stessi ribelli per spingere Washington ad attaccare il regime di Damasco. Senza documenti e basato su una sola fonte, l’articolo venne rifiutato dal New York Times e pubblicato sulla London review of books.

Quindi due anni dopo un secondo scoop-fiasco riguardante la “vera storia” dell’uccisione del leader dei Talebani Osama Bin Laden. Secondo Hersh infatti il terrorista internazionale era da tempo prigioniero dei pakistani e la sua cattura da parte degli americani era stata una messa in scena per nascondere la complicità di Islamabad nella fuga di Bin Laden. Le fonti in questo caso sono due funzionari dell’intelligence Usa e pakistana in pensione da anni: anche questa volta il ‘suo’ giornale rifiuta la pubblicazione dell’articolo, poi stroncato da esperti e giornalisti.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia