Il discorso di Putin e le sue ricadute politiche e militari. Il Riformista ne discute con un’autorità assoluta nel campo della diplomazia: l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci. Presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai). Nelli Feroci è stato Rappresentante permanente d’Italia presso l’Unione Europea a Bruxelles (2008-2013), capo di gabinetto (2006-2008) e direttore generale per l’integrazione europea (2004-2006) presso il Ministero degli Esteri. Ha anche ricoperto l’incarico di Commissario europeo per l’industria e l’imprenditoria nella Commissione Barroso II nel 2014.

Ambasciatore Nelli Feroci, molto si è detto e scritto in merito al recente discorso di Vladimir Putin. C’è chi ha parlato di svolta. Come la vede?
In qualche modo quel discorso è una svolta. E per diversi motivi. Il dato più interessante, in parte esplicito e in parte implicito, nel discorso di Putin è l’ammissione che l’“Operazione militare speciale” non funziona, che le operazioni militari condotte sul terreno non hanno funzionato. In pratica è il riconoscimento del fallimento dell’invasione dell’Ucraina, per lo meno ad oggi. Da qui la necessità di adottare alcune misure che dovrebbero servire per invertire la rotta, prima fra tutte la mobilitazione. Per quanto parziale, mettere in campo 300mila uomini, come ha chiarito poi il ministro della Difesa Shoigu, modifica i rapporti di forza sul terreno. Naturalmente per poter fare questo Putin deve riconoscere in qualche modo che non è più un’ “Operazione militare speciale” ma che si tratta di guerra. E dovendo ricorrere a una mobilitazione non generale ma comunque di dimensioni notevoli, è inevitabile che provochi reazioni nel Paese. In parte lo si sta già vedendo e lo si vedrà sempre di più via via che i giovani russi verranno chiamati alle armi per questo periodo di formazione che lui ha annunciato, formazione necessaria perché mandare subito i riservisti sul campo di battaglia si sarebbe potuto rivelare un disastro. Questo è il primo dato: l’Operazione militare speciale è fallita, si passa a una fase nuova e deve ricorrere alla mobilitazione. Poi c’è l’aspetto legato ai referendum. È ovvio che sono referendum farlocchi, non hanno la benché minima credibilità, convocati nel giro di tre giorni, in territori che sono o sotto occupazione o addirittura in pieno conflitto, però serviranno a Putin per cristallizzare la situazione sul terreno, per lo meno fin dove le truppe russe sono arrivate finora. Dopo la tenuta di questi referendum, il cui esito è ovviamente scontato e che naturalmente non saranno riconosciuti da nessun altro Paese se non forse dalla Corea del Nord, potrà proclamare questi territori come parte della Federazione Russa. E questo cambiamento di status, nell’ottica di Putin potrebbe portare anche al ricorso a ogni tipo di armamenti per difendere territori entrati a far parte della Federazione Russa. Di qui la minaccia del nucleare.

Una minaccia realistica?
Io personalmente non sono convinto che lui alla fine arriverà a tanto. Perché i costi sarebbero enormi, tant’è vero che i Paesi che finora in qualche modo gli sono stati vicini, hanno cominciato a dare segnali di disagio e di preoccupazione, prima fra tutti la Cina. Cambiare le carte in tavola con il ricorso alle armi nucleari, anche se di teatro, tattiche, modificherebbe i dati sul terreno in maniera drammatica. E le prime reazioni di questi Paesi sono molto significative.

Si può, come qualcuno ha fatto, leggere il discorso di Putin e le misure da lui annunciate, come l’atto di un leader disperato?
È sicuramente la reazione di un leader in grossa difficoltà. Una difficoltà peraltro che lui stesso non nasconde. Perché nel momento in cui dice che finora abbiamo utilizzato militari a contratto, dei professionisti, ma questo non basta, ammette delle difficoltà. Non dice quanti ne sono morti, ma circolano cifre impressionanti, non i 5mila e rotti di cui si sa ufficialmente ma molti di più. Nel momento in cui lui riconosce che quello che è stato fatto finora non ha funzionato, beh, questa è una ammissione drammatica di una sconfitta in corso. È la presa d’atto da parte di Putin che questa operazione finora è stata un fallimento. Questo mi sembra che sia evidente. Che sia disperato o meno non sono in grado di dire, certamente è un leader messo alle corde, un leader politico che ha fallito su una cosa su cui si giocava la sua credibilità e quindi sta cercando di cambiare le carte in tavola per recuperare iniziativa anche sul terreno militare.

In che termini l’Occidente, l’Europa in particolare, dovrebbero far fronte a questa nuova fase del conflitto, alla luce anche di quella “guerra del gas” che Putin ha scatenato e i cui effetti già si sono manifestati sulla nostra bolletta energetica?
Il mio parere è che l’Occidente debba mantenere la linea di fermezza e di determinazione che ha adottato finora anche se questa comporta dei costi. Finora ha funzionato. Certo i costi sono elevatissimi, soprattutto per l’Ucraina e per gli ucraini, però il fatto che da febbraio ad oggi l’“Operazione militare speciale” non abbia dato quei risultati che Putin aveva in mente, anche se non si è mai capito fino in fondo quali risultati avesse davvero in mente, vuol dire che la reazione occidentale ha funzionato. E quello che funziona è soprattutto la messa a disposizione di armi da parte degli americani e degli inglesi. Questa è la cosa fondamentale. Però c’è anche un tema più generale di solidarietà politica, economica, di assistenza di varia natura all’Ucraina che sta dando il segno che l’Ucraina non è sola, non è isolata. Dopo di che, a mio avviso, come non c’erano margini per l’apertura di una interlocuzione prima del discorso di Putin, perché io ero e resto convinto che non c’era nessuna possibilità di avviare una trattativa, perché Putin aveva deciso che non era ancora arrivato il momento, ora meno che mai. Perché da un lato hai gli ucraini che stanno riscuotendo dei successi nella loro controffensiva a nord-est e a sud intorno a Kherson. Loro non hanno interesse a sospendere le ostilità e mettersi a trattare. E Putin, dall’altro lato, ha dimostrato con questa iniziativa dei referendum la sua volontà di mettere l’Ucraina, l’Occidente e il resto del mondo di fronte al fatto compiuto. Vuole creare una seconda Crimea, questa volta avendo come obiettivo il 20% del territorio dell’Ucraina e da lì lui non vuole recedere. Mi sembra che le condizioni per aprire una trattiva siano oggi più remote e impraticabili di quanto lo fossero già prima del discorso di Putin.

Se la guerra, come rimarcano gli americani, è destinata a durare ancora un tempo non breve, l’Europa è in grado di reggere quell’unità che fin qui ha avuto?
Secondo me sì. E aggiungerei che le decisioni annunciate da Putin nel suo discorso, segnano un percorso irreversibile per tutti i Paesi europei. Se ancora qualcuno prima di questi annunci, sui referendum, sulla mobilitazione, sulla minaccia del nucleare, aveva dei dubbi da che parte stare, oggi questi dubbi non sono più consentiti. Questo rafforza la coesione europea e occidentale. Quanto a noi, l’Italia, esistono sfumature diverse ma mi pare che si sia affermata una linea abbastanza condivisa. Perfino Salvini ha aggiustato il linguaggio. Meloni tiene un linguaggio che non è molto diverso da quello di Letta e di Calenda e Renzi sul tema del conflitto. Quanto ai 5Stelle e Conte, hanno delle difficoltà su un punto specifico che è del tutto marginale, che è quello della fornitura di armi. La fornitura di armi all’Ucraina dall’Italia ha una valenza politica simbolica ma non è certo quello che fa la differenza. La differenza la fanno le armi inglesi e americane. Certo abbiamo un problema enorme, soprattutto collegato ai costi dell’energia, ci dobbiamo attrezzare, lo stiamo facendo in parte, probabilmente dovremo adottare misure molto più impegnative di riduzione della domanda energetica, di riduzione dei consumi, per ora abbiamo scherzato su questo, ma si tratta di una questione che riguarda il prossimo inverno perché poi arriveremo a una diversificazione delle fonti che ci consentirà di fare a meno del gas russo oltre che del greggio russo. In ultima analisi, io credo che l’effetto combinato di queste decisioni annunciate da Putin sia quello di rafforzare la solidarietà europea e anche quella occidentale. E aggiungo che questa iniziativa russa – i referendum, la minaccia del nucleare, la mobilitazione – mette in grossa difficoltà quei Paesi che finora avevano cercato di manifestare solidarietà alla Russia. Penso prima di tutto alla Cina ma anche all’India. A Samarcanda avevamo già visto dei tentativi di prendere le distanze. Oggi si può immaginare come la minaccia del ricorso al nucleare ma anche l’annessione di pezzi di territorio di un Paese vicino possano essere graditi a un Paese come la Cina. Questo è un enorme segnale di debolezza da parte di Putin, che rafforza il fronte occidentale. E poi c’è un terzo fronte, che è quello interno. Noi abbiamo visto delle manifestazioni di protesta sporadiche, probabilmente concentrate nelle grandi città, però sono manifestazioni di protesta vivaci, di un certo significato e credo che via via che la mobilitazione avanzerà, nel senso che arriveranno le cartoline di precetto, le proteste degli interessati e delle famiglie si faranno ancora più pressanti. Finora era una guerra condotta da un esercito di professionisti. E ora sta diventando una guerra condotta da giovani militari di leva. L’impatto sull’opinione pubblica russa sarà più rilevante e più difficile da gestire.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.