Per 300mila russi il risveglio questa mattina è stato drammatico. Nel suo discorso alla nazione il presidente Vladimir Putin ha intimato la chiamata alle armi in Ucraina, una mobilitazione militare “parziale” che riguarderà i riservisti dell’esercito.

Il decreto firmato dallo Zar in realtà prevede anche la possibilità di chiamare la popolazione generale alle armi in maniera obbligatoria: all’articolo due infatti si legge che il presidente si riserva il diritto di “reclutare al servizio militare i cittadini russi nell’ambito della mobilitazione delle forze armate russe”.

Al momento comunque, nel tentativo già parzialmente fallito di tranquillizzare l’opinione pubblica ed evitare la corsa alla fuga all’estero, la mobilitazione resta parziale: vuol dire che saranno interessati solo coloro che hanno prestato servizio nelle forze armate, hanno determinate specializzazioni militari ed un’esperienza rilevante. Ma il potenziale russo da poter dispiegare in campo resta straordinario: in un Paese in cui il servizio di leva è ancora obbligatorio, secondo il ministro della Difesa Serghei Shoigu le forze disponibili sarebbero circa 25 milioni.

Secondo Andrei Kartapolov, capo della Commissione Difesa della Duma, i primi a essere mobilitati potrebbero essere i soldati e i capisquadra sotto i 35 anni e gli ufficiali minori sotto i 45 anni. Saranno esclusi per il momento alcune categorie, ad esempio gli studenti universitari, i militari di leva e coloro che hanno quattro figli oppure tre figli e una moglie incinta da almeno 22 settimane, così come si prende cura di parenti e amici di persone disabili e chi è stato condannato a reati gravi. Chi sarà mobilitato dovrà sottoporsi a un addestramento militare aggiuntivo prima di essere inviato sul fronte.

Chi è stato chiamato alle armi riceverà la paga standard dei soldati che fanno parte dell’esercito russo: il compenso mensile è di circa 30.000 rubli, pari a circa 460 euro, di poco più basso rispetto al salario medio russo ma di certo una cifra considerevole per chi abita nelle aree più remote e meno sviluppate del Paese.

Il decreto di mobilitazione arriva all’indomani di una nuova stretta decisa dalla Duma, la Camera bassa dell’Assemblea federale della Federazione Russa, che ha votato una ulteriore stretta alle poche libertà rimaste nel Paese. Tra i provvedimenti presi vi è anche l’aumento della pena fino a 15 anni di carcere (con un minimo di due) per i soldati che disertano, si arrendono o si rifiutano di seguire gli ordini loro impartiti. Porte aperte ai ‘foreign fighters’ disposti a combattere per il Cremlino: la Duma ha contestualmente approvato una legge che semplifica l’ottenimento della cittadinanza russa per gli stranieri che decidono di arruolarsi e combattere.

Il ricorso ai riservisti appare come il chiaro segnale delle difficoltà russe nella “operazione militare speciale” in Ucraina iniziata ormai lo scorso 24 febbraio. Colpiti dalla controffensiva di Kiev, che sta riconquistando chilometri e chilometri di territori precedentemente occupati dalle truppe fedeli al Cremlino sia nel nord che nel sud-est del Paese, Mosca avrebbe perso secondo le stime del Pentagano circa 70mila soldati dall’inizio del conflitto tra feriti e morti. L’ultima cifra ufficiale proveniente dal Cremlino parla invece di meno di 6mila soldati uccisi in battaglia, un numero evidentemente incompatibile con la chiamata alle armi voluta da Vladimir Putin.

Redazione

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