La strada spianata
Harris incontra Netanyahu, il primo passo della politica estera di Kamala: al fianco di Kiev e pronta a cambiare approccio con la Cina

L’endorsement di Joe Biden è sembrato, di fatto, una vera e propria incoronazione. Kamala Harris, colei che già nel 2020 doveva essere l’erede “al trono” della Casa Bianca dopo il vecchio leader dem, sembra avere la strada spianata verso la candidatura ufficiale del partito. Una scelta per certi versi attesa. Per qualche osservatore, addirittura scontata. Quello che però è certo è che, se sarà confermata come la paladina dei dem, per la vicepresidente si apriranno le porte della sfida a Donald Trump. E non ci potrebbe essere un duello tra due candidati così diversi tra loro, sia a livello esistenziale che ideologico. In primis sulla politica estera.
Gli interrogativi
Da quando si è fatto largo il nome di Harris come candidato democratico per Washington (e quindi come potenziale presidente) sono tanti gli esperti che si sono interrogati su come potrebbe essere l’agenda internazionale dell’attuale vice di Biden. Un dossier fondamentale, dal momento che si parla degli Stati Uniti e di una delle fasi più convulse della politica mondiale. E capire quali saranno i primi passi geopolitici della possibile nuova presidente Usa è un elemento che interessa tutti, dall’Europa alla Russia fino alle potenze asiatiche. In generale l’idea su cui concordano più o meno tutti gli analisti è che un’eventuale amministrazione Harris sarebbe coerente – almeno all’inizio – con quella precedente. Sul fronte dei rapporti con la Russia, e in particolare della guerra in Ucraina, la vicepresidente ha sempre seguito una linea fortemente orientata al sostegno a Kiev e alla contrapposizione nei riguardi di Vladimir Putin. In questo contrastando non poco le ipotesi di un negoziato paventate da Trump ma anche dal vicepresidente scelto per questa corsa repubblicana, J.D. Vance.
Le prime reazioni
Sotto questo aspetto Kamala potrebbe avere l’interesse non solo a rafforzare il ruolo dell’Alleanza atlantica – uscito indubbiamente rafforzato dall’invasione russa dell’Ucraina – ma anche a gestire in maniera diversa il flusso di aiuti militari a Kiev, evitando una riduzione che potrebbe apparire come un disimpegno dalla resistenza ucraina. Le prima reazioni dal Cremlino confermano il gelo per l’eventuale candidatura di Harris. Dmitri Peskov, il portavoce presidenziale russo, ha commentato le notizie da Washington dicendo che nessuno è rimasto sorpreso dal ritiro di Biden, ma ricordando anche che da parte di Harris “ci sono state alcune dichiarazioni piene di retorica piuttosto ostile nei confronti del nostro paese”. Il senso è chiaro: Mosca non si aspetta grossi cambiamenti. E anche se tutto dipenderà inevitabilmente dai risultati del campo di battaglia, l’impressione è che Putin osservi con attenzione in particolare la possibile vittoria di Trump più che leggere le eventuali idee dell’attuale vicepresidente.
Incontro tra Harris e Netanyahu
Altro punto interrogativo è la gestione del dossier mediorientale. L’operazione militare israeliana nella Striscia di Gaza, finita la campagna elettorale Usa, potrebbe anche essere terminata. O in ogni caso avere cambiato radicalmente forma. Ma quello che appare certo, anche in questo caso, è che le parti in campo (soprattutto Benjamin Netanyahu) potrebbero aspettare gli esiti delle elezioni per capire quali mosse attuare. Kamala Harris, in questi mesi di guerra tra Israele e Hamas, è apparsa sempre allineata alle decisioni del suo presidente. E – pur sostenendo il diritto dello Stato ebraico alla difesa – non ha lesinato critiche nei confronti della gestione della guerra da parte di Netanyahu, parlando apertamente di “catastrofe umanitaria” in corso. In queste ore Harris potrebbe incontrare proprio il premier israeliano, sbarcato negli Stati Uniti per un viaggio che arriva in un momento cruciale. Tanto per la vita politica americana quanto per i rapporti con Israele in questa complessa fase del conflitto a Gaza. Parlando di Biden, Netanyahu, prima di lasciare Tel Aviv ha detto che il viaggio “sarà l’occasione per ringraziarlo per le cose che ha fatto per Israele durante la guerra e durante la sua lunga e illustre carriera, come senatore, vicepresidente e presidente”. E parlando del rapporto con gli Stati Uniti, Bibi ha sottolineato che “indipendentemente da chi il popolo americano sceglierà come prossimo presidente, Israele rimane il suo alleato più indispensabile e più forte in Medio Oriente”. E questo significa che tanto Trump quanto la Harris saranno interlocutori privilegiati.
La posizione convergente
Sullo sfondo di questo rapporto resta poi il nodo iraniano. Teheran, con la nuova presidenza, ha mostrato una certa apertura per quanto riguarda i rapporti con l’Occidente. E Masoud Pezeshkian ha confermato l’intenzione di ristabilire il dialogo sul programma nucleare. L’accordo stracciato da Trump potrebbe tornare a essere centrale nei rapporti tra Teheran e Washington. Biden ci credeva, anche se poi tutto è rimasto paralizzato. E se The Donald non sembra intenzionato a fare alcuna marcia indietro, è probabile che Harris sia in qualche modo propensa a ricucire lo strappo trovando un accordo. L’Asia sarà quindi inevitabilmente centrale per il futuro della Casa Bianca.
E questo riguarda anche la Cina. Trump ha sempre detto che la vera sfida degli Usa riguarda Pechino. E sotto questo profilo, la politica americana sembra avere una linea abbastanza trasversale. Harris inoltre come ricordano molti esperti, ha sempre avuto un occhio di riguardo per l’Indo-Pacifico e in particolare i paesi dell’Asean. Forse anche per la sua origine: indiana da parte di madre. E l’impressione è che almeno su questo potrebbe esserci una posizione convergente. Entrambi i candidati sanno che la Cina rappresenta una sfida sistemica molto importante per il presente e il futuro dell’America. Ma potrebbe cambiare il tipo di approccio: duro con Trump, più pacato ma non meno fermo con Harris.
© Riproduzione riservata