Se Giorgia Meloni sfida l’Europa e le “ricette semplicistiche della Bce”, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, nonché presidente pro tempore di Forza Italia, attacca Bruxelles e Francoforte a testa bassa. Lo ascolti mentre parla in pieno Transatlantico ad un gruppo sempre crescente di cronisti e deputati e capisci che il partito unico della destra italiana è già nato. Con buona pace della Lega. E che, questo nuovo partito ancora senza nome, ha iniziato compatto la campagna elettorale per le Europee del prossimo giugno da cui, nelle loro intenzioni, dovrebbe uscire la nuova Europa. A destra, ovviamente.

Ascolti il Tajani-show – mezz’ora buona – e fai fatica a distinguere le parole del leader di Forza Italia da quelle che Giorgia Meloni ha appena finito di pronunciare nelle Comunicazioni del governo al Parlamento in vista del Consiglio Europeo di oggi e domani a Bruxelles. C’era una volta Forza Italia, forza moderata di centro, unica e vera àncora della maggioranza di governo allo spirito dell’Europa e della sua più grande famiglia politica, il Partito popolare europeo.

Possiamo dire che in queste ore la scelta è stata fatta: o Salvini si adegua oppure balla da solo. Con gli estremisti di Marine Le Pen. Meloni fa il suo intervento – 38 minuti – urlato e alza i toni ancora di più nella replica (25 minuti). In soldoni: il Mes non ci interessa, se lo ratifichiamo allora ci devono dare altro come la flessibilità nei conti, nel Pnrr, l’unità bancaria e la fine del dumping fiscale, insomma basta austerità, basta con l’Europa che decide per altri, sì alla sussidiarietà ma no alla dipendenza dell’Italia rispetto a Bruxelles.

Tajani non urla, anzi, usa il suo tono paludato, quasi flautato. Ecco perché fa ancora più rumore quando attacca nell’ordine la Banca centrale, la presidente Lagarde e la politica degli annunci dell’aumento dei tassi, ma anche il commissario Gentiloni e, più di tutti, il Mes (Meccanismo di stabilità europea) che ufficialmente ieri mattina è stato nuovamente rinviato. Tutto questo viene detto, ovviamente, “da un sincero europeista come me che vuole cambiare le cose e non certo andare contro l’Europa che è stata la mia casa per anni”.

Si comincia con la Bce e i tassi che crescono. “La Banca centrale europea – attacca il vicepremier – deve essere al servizio dell’economia reale, non viceversa. Non abbiamo detto che Lagarde deve andare via ma quello che dice non è il Vangelo”. Anzi. La filosofia Lagarde “rischia di fare un danno all’ industria e alle imprese e alle famiglie già alle prese con il caro-vita e ora anche il caro-mutuo”. Un comizio. Accanto il ministro per la Transizione digitale Gilberto Pichetto Fratin acconsente.

Un premier e due vicepremier (il giorno prima era stato Salvini) a testa bassa contro Banca Centrale e Bruxelles. Mai successo. Tajani punta il dito: per combattere l’inflazione, la Bce non tiene conto del fatto che quella europea “è un tipo di inflazione diversa da quella americana dovuta alla domanda, la nostra è esogena (Meloni in aula aveva detto il contrario, cioè “endogena”) causata dall’aumento dell’energia scaturito dalla guerra in Ucraina”. In più ci si deve mettere un omesso controllo da parte di chi dovrebbe controllare le filiere dei prezzi e il governo che non interviene sugli extraprofitti. Ma di questo non hanno parlato né Meloni né Tajani.

E poi il Mes che la premier in aula aveva così liquidato: “Non reputo utile alimentare polemiche interne su alcuni strumenti finanziari (il Mes, ndr). Prima ancora di una questione di merito c’è una questione di merito, di come si difende l’interesse nazionale”. Per Tajani è facile schiacciare la palla. “I soldi del Mes sono italiani e voglio poter decidere e sapere quali sono le garanzie, quali i controlli. Non è che se metto i soldi gli altri decidono con i soldi miei”. Ma lei, ministro, un tempo anche recente era a favore del Mes… “Sì, poi è arrivato il Recovery fund e poi il regolamento è scritto malissimo”.

Ma resta solo l’Italia, noi soli contro altri 19 paesi, un po’ tardi e da sovranisti per cambiare idea. “Eh no, sono stato giornalista prima di voi, non è che mi fregate così. La questione è se uno è europeista per finta o ha una visione europeista… Una visione europeista, la mia, significa avere un sistema finanziario e bancario comunitario. Significa fare l’unione bancaria, che invece è ferma. Significa dire basta al dumping fiscale. Si fa il Mes, bene, e si fa anche tutto il resto. Diversamente è l’Europa à la carte. E non va bene”. È la logica dell’approccio “a pacchetto” di cui parla Meloni. “Non quella del carciofo” replica Tajani. Ministro, cosa le dicono i suoi colleghi europei, soprattutto tedeschi, di questa svolta italiana? Sorride con gli occhi. “Domattina (cioè oggi, ndr) sarò là e sentirò cosa hanno da dire”. Difficile che Manfred Weber, il leader, non sia già stato informato.

Benedetto della Vedova (+ Europa), più tardi nelle dichiarazioni di voto (e non è il solo) spiegherà bene come “quella sul Mes sia da parte del governo l’ennesima piroetta. Per anni è stato il totem dell’antieuropeismo e adesso avete la paura politica di dire ai vostri che avete sbagliato. Intanto rinviate e tirate fuori la logica del pacchetto. Occhio che tra un può sarà un gigantesco pacco”.

Il ministro economico Giancarlo Giorgetti ieri mattina ha scelto di sedere tra i colleghi del gruppo. Della Lega, vicino alla premier, sui banchi del governo, non c’era nessuno. Annusata l’aria, Giorgetti deve aver preferito sedere lontano. In fondo è lui che deve gestire la pressione degli altri paesi Ue sul Mes. Alla fine si è quasi convinto. Soprattutto se non ratificare significa restare bloccati su tutti gli altri dossier. Una settimana fa ha fatto anche scrivere dal suo capo di gabinetto una lettera in cui si sostiene che il Mes rafforza il nostro debito pubblico. Ma non è bastato. Tajani attacca anche su questo. “Insomma, io sono stato tanti anni tra Bruxelles e Strasburgo, so cosa significa fare trattative. E la trattativa noi adesso la facciamo ponendo un problema politico. Certo non piegandoci ai diktat di altri paesi”. Vorrebbe dire che Gentiloni e Giorgetti si sono inchinati al volere di Bruxelles? “Voglio dire che io non mi sono mai piegato a decisioni di altri e talvolta gli ho anche fatto cambiare idea”. Il partito Meloni-Tajani è nato. Chissà cosa ne pensa il resto di Forza Italia.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.