Come quasi tutti i commentatori avevano ipotizzato -me compreso in un pezzo scritto per queste colonne la settimana scorsa-, la presidente della Bce Christine Lagarde ha ieri annunciato la decisione di alzare dello 0.25 per cento (25 punti base) i tassi di interesse controllati dalla banca centrale stessa, con il fine dichiarato di proseguire nella lotta contro l’inflazione. Pur menzionando l’andamento più rallentato dell’inflazione stessa rispetto ai mesi precedenti (l’inflazione che esclude l’energia e il cibo dal paniere su cui è calcolata è scesa dal 5.6 per cento di aprile al 5.3 di maggio), la dichiarazione della presidente della Bce non lascia spazio a dubbi sull’interpretazione di questa scelta di politica monetaria restrittiva, che sarà seguita da ulteriori aumenti dei tassi di interesse a breve termine su cui la banca centrale ha il controllo.

Come dovrebbe essere noto, la banca centrale non controlla direttamente i tassi di interesse a medio lungo termine, i quali sono una media tra i tassi a breve termine attuali e i tassi a breve termine previsti per il tutto il periodo della durata del prestito considerato (altri 9 anni per un prestito a 10 anni). Tuttavia -attraverso la cosiddetta forward guidance (“guida in avanti”)- essa cerca di preannunciare in maniera credibile agli operatori economici e finanziari quel che farà con i tassi di interesse a breve nel futuro: in questo modo le previsioni sui tassi di interesse a breve termine nel futuro vengono “ancorate” verso la direzione desiderata dalla Bce stessa, in questo caso verso l’alto, al fine di raffreddare i prestiti bancari e con essi l’andamento dei prezzi.

Non è scritto in nessun Libro Sacro che l’obiettivo a medio-lungo termine per l’inflazione nell’eurozona sia il 2 per cento, ma di fatto questo è l’obiettivo fissato e sancito dalla Bce: dunque non è per nulla chiaro come possa la Bce stessa alzare questo obiettivo -ad esempio al 3 per cento- mantenendo una robusta dose di credibilità ed evitando che le aspettative future di inflazione scappino sopra questo nuovo obiettivo rivisto al rialzo. Nessuno deve stupirsi che l’economia e le scelte di politica economica e monetaria siano incastonate dentro sentieri stretti, tali per cui non c’è mai davanti a noi -e alla Lagarde- una landa sconfinata di “pasti gratis”, cioè di scelte che danno soltanto benefici e nessun costo.

Tuttavia, come ricordavo la scorsa settimana, qualora le determinanti dell’attuale tasso di inflazione fossero transitorie (come ritiene il “team transitory” capitanato da Erik Nielsen di Unicredit), i costi della politica da falco di Christine Lagarde sulla crescita economica dell’eurozona e sulla stabilità dei conti pubblici dei governi nazionali potrebbero essere superiori ai benefici dell’ancoramento verso il basso dell’inflazione.

Si tenga peraltro presente che la decisione di rialzare i tassi da parte della Bce segue immediatamente la decisione della banca centrale Usa (la Federal Reserve) di non alzarli almeno per questa volta, così da far apparire ancora una volta la Bce come più arcigna nel suo ruolo da falco rispetto alla più colombesca banca centrale Usa. Senza essere esperti di economia monetaria internazionale, bisogna comunque notare come l’euro continui a rivalutarsi contro il dollaro così da rendere meno competitivo l’export dei paesi dell’eurozona (compresa l’Italia). Questo potrebbe essere un ulteriore costo dell’ostinazione falcheggiante della Bce e del suo presidente.