Si sta sviluppando un’accesa querelle sulle critiche rivolte alla Bce da parte di esponenti del Governo. Un accenno di miglioramento dei dati dell’inflazione a dicembre in diversi Paesi dell’Unione, ivi compresa la Germania anche se meno in Italia, insieme con il calo del prezzo del gas benché, per le modalità di calcolo, la diminuzione non si sia ancora traslata sulle bollette, i rischi di una recessione, i persistenti impatti anche economici negativi della guerra, i riflessi delle tensioni geopolitiche hanno indotto alcuni, politici di Governo e no, come anche studiosi e comuni cittadini, ad auspicare che la Bce sospenda il programma di ulteriori aumenti dei tassi di interesse.

Per essi si prevede a febbraio un ulteriore innalzamento di 50 punti base, a cui dovrebbe far seguito, nei mesi successivi, un altro incremento della stessa percentuale. Nessuno mette in dubbio il fondamento dell’azione contro l’inflazione che costituisce il solo mandato che il Trattato Ue conferisce alla Bce da assolvere agendo per riportare l’inflazione al 2 per cento nella prospettiva di medio termine. A ciò si aggiunge l’aspettativa, da parte di molti, che l’Istituto riconsideri il piano, che dovrebbe decollare a fine marzo, riguardante la riduzione dei reinvestimenti del capitale dei titoli rimborsati per circa 15 miliardi in media mensili. In presenza del quadro sinteticamente descritto, l’aumento ulteriore dei tassi, da un lato, e l’azione riduzionistica del bilancio, dall’altro, non possono fare astrazione dai rischi che una restrizione eccessiva annienti qualsiasi ipotesi di rilancio dell’economia. Un bilanciamento appare necessario perché il rigore non sfoci nel rigorismo e l’operazione monetaria riesca sulla carta, come quella chirurgica, ma poi il paziente muoia: fuor di metafora, i rischi di recessione si materializzino effettivamente nell’area e si uniscano all’inflazione causando una condizione di stagflazione.

Di qui la richiesta di soprassedere, almeno nel prossimo mese, all’aumento dei tassi di riferimento che, come accennato, dovrebbe essere deciso dal Consiglio Direttivo dell’Istituto il 2 febbraio. Ora, al di là delle espressioni adottate non condivisibili da esponenti dell’Esecutivo, non convince che la critica delle posizioni della Bce diventi automaticamente attacco alla sua indipendenza. In una situazione in cui si criticano, in alcune circostanze, a torto o a ragione, per esempio, anche le decisioni della Cassazione, del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, della Corte costituzionale, della Corte europea di giustizia e, ovviamente, del Governo, del Parlamento, delle Authority e si è arrivati a criticare, maldestramente e infondatamente, anche il Papa e il Capo dello Stato, immaginare che la Bce, una tecnostruttura, non possa essere “nominata invano”, come una sorta di divinità, è una pura assurdità.

Il suo status di indipendenza è sancito dal Trattato Ue e deve essere rispettato. Se giustamente i Governi non possono dare istruzioni all’Istituto, si deve ritenere che neppure questi possa impartire direttive, in modo diretto o indiretto, o porre condizioni del tipo “ aut-aut” ai Governi e ai Parlamenti che sono indipendenti al pari e ancor più della Bce traendo diretta legittimazione democratica dal suffragio popolare. Del resto, la critica, correttamente svolta, è fondamentale per una sintesi più avanzata, nell’interesse di entrambe le parti. Si può dire che tra Banca centrale e Governi esista una “discordia concors”, mezzi diversi, strade differenti, passaggi critici ma in vista dell’obiettivo comune, quello della corrispondenza agli interessi generali. I vecchi Governatori della Banca d’Italia rispondevano alle critiche con argomentazioni, dati, scritti, misure specifiche.

Non passava per la loro mente gridare al lupo, in presenza di osservazioni critiche sul loro operato. Ricordo le risposte di Antonio Fazio ad attacchi che per la loro portata erano di gran lunga superiori a quelli che oggi si sono registrati nei confronti della Bce e le risposte date, puntuali, inattaccabili, a volte rese in audizioni parlamentari fino a comunicati che, in diverse occasioni, stroncavano in forma pacata, “sine ira ac studio” ma facendo parlare i numeri e la logica, le critiche avventate e prive di fondamento di qualche Ministro. Sostenere oggi, come fa un personaggio autorevole, che la Bce, pur eventualmente orientata ad assumere una decisione, poi non la prenderebbe più perché criticata da settori politici che vorrebbero la medesima decisione e, quindi, per non dare mostra di una subalternità ai richiami, significa delineare un Istituto centrale dispettoso o incapace di sostenere le proprie ragioni, cosa che non corrisponde al vero.

Allora, si risponda nel merito, si argomenti perché sia non accoglibile o accoglibile una determinata tesi. Anche altre banche centrali subiscono critiche, di tanto in tanto, a cominciare alla Federal Reserve, ma non si registra la discesa in campo di uno stuolo di difensori che, per il loro zelo eccessivo, fanno come quell’avvocato della nota storiella che rischia di perdere la causa. Vi sono confini, come si è detto, “quos ultra citraque nequit consistere rectum”, ma entro di essi la critica non può affatto fare scandalo.