Non sono passati molti giorni dalla decisione dell’8 settembre, da parte della Bce, e già i “ falchi” del Consiglio direttivo sottolineano che a ottobre bisognerà aumentare ancora i tassi di interesse di riferimento dopo i 75 punti base decisi l’8, mentre ad agosto l’inflazione, nell’area, superava il 9 per cento e in Germania si rischierebbe un aumento dei prezzi a due cifre. Quasi in contemporanea, si prevede che il Comitato monetario della Federal Reserve del 20 e 21 prossimi decida di aumentare nuovamente (per la terza volta) i tassi di 50 o anche di 75 punti base. L’inflazione si attesta negli Usa ad agosto all’8,3 per cento. L’aumento, se si verificherà, avrà ripercussioni sulla condotta della Bce, mentre il dollaro si rafforza nei confronti dell’euro.

I “ falchi” europei hanno dalla loro i tedeschi particolarmente preoccupati, come da tradizione storica, per l’aumento dei prezzi. Prima che fosse deciso il predetto incremento dello 0,75 per cento, si immaginava che una mediazione tra “ falchi” e “ colombe” avrebbe potuto portare a un aumento di 50 punti base; invece è stata scelta la linea più dura, alla quale i moderati hanno finito con l’aderire, con l’obiettivo, dichiarato dalla presidente Christine Lagarde, di frenare la domanda. Si dà per scontato che non sia possibile con la leva monetaria agire sull’offerta dei prodotti energetici e su ciò che accade per il malfunzionamento, dopo la fase più virulenta della pandemia, delle “ catene di valore”, mentre sulla domanda la politica monetaria può agire efficacemente e si ritiene che in questo modo si possa ridimensionare l’inflazione che tuttavia – si afferma – sarà alta nell’area ancora per lungo tempo. Si paga così il gravissimo errore compiuto dalla Banca centrale e dalla sua Presidente, oltreché dai Governatori che compongono il Direttivo, nel ritenere , almeno per un anno e mezzo, che l’inflazione era transitoria, che sarebbe stata a breve riassorbita, senza neppure rilevare che con passaggio del tempo ciò purtroppo non accadeva.

La Lagarde ha chiesto scusa per l’errore commesso, ma si è giustificata sostenendo che la combinazione del post-pandemia con la guerra in Ucraina e con le difficoltà geopolitiche, mentre si manifestavano i primi rincari nei prodotti dell’energia, avevano fuorviato le stime. Al contrario, occorre ricordare che l’errore è stato commesso già prima che deflagrasse il conflitto con l’invasione dell’Ucraina. Ma ugualmente criticabile è ora la posizione assunta dalla Bce che rinuncia all’azione di anticipo della manovra monetaria per orientare le aspettative e dimentica la “forward guidance” lungamente sostenuta e afferma che si deciderà di volta in volta in base ai dati. Si cammina a fari spenti. Come dire, andiamo avanti e vediamo o come se a un ammalato si dicesse di non prendere alcun farmaco, poi, se la malattia si aggraverà, allora si deciderà quale medicina somministrare. Questo singolare modo di impostare il governo della moneta finisce con l’aprire la strada alla componente tedesca la quale insiste sulla necessità di misure più stringenti, in base al principio del danno minore rispetto a quello che si ripercuoterebbe sulla crescita se si dovesse intervenire a uno stadio più avanzato. Se lo scopo è quello di prevenire una recessione nell’area e nei singoli Paesi o la stagflazione temuta da altri, allora le risposte finora date, in sede comunitaria, sono del tutto inadeguate.

Non sussiste un raccordo tra politica monetaria e politica economica e di finanza pubblica, nel rispetto delle reciproche autonomie, a livello europeo e di singoli Paesi che, invece, sarebbe necessario; anzi, si auspica, dai Commissari Ue, che alla restrizione monetaria si affianchi una impostazione quasi rigoristica dl bilancio pubblico, mentre sarebbe doveroso farsi carico dei problemi della crescita i cui dati la stessa Bce ha rivisto al ribasso; né si è pensato a un coordinamento della politica monetaria con la funzione di Vigilanza bancaria, anche agendo su moratorie, garanzie pubbliche, allentamenti normativi un coordinamento che l’Italia sperimentò positivamente in occasione del primo “shock” petrolifero degli iniziali anni Settanta del Novecento. Il “ triangolo” sostenuto da Carlo Azeglio Ciampi, presidente del Consiglio nel 1993, formato da politica monetaria, politica di bilancio e politica dei redditi con il decisivo apporto della Banca d’Italia di Antonio Fazio che stroncò le aspettative di inflazione, fece sì che si uscisse dalla crisi di quegli anni. Sarebbe una lezione valida anche per l’oggi.

Ma esiste la volontà di intraprendere una tale strada, avendo presente anche la limitatezza degli strumenti istituzionali disponibili a livello europeo, in buona parte, però, surrogabili con il riferimento ai principi generali dei Trattati fondativi, sempreché esista una fondamentale convergenza politica, il vero “punctum dolens”? Intanto, si avvertono le prime conseguenze dell’aumento deciso dalla Bce con i riflessi sui mutui a tasso variabile, mentre la crisi morde con più intensità e sempre più si rileva l’esigenza di un piano organico per la lotta all’inflazione che non trascuri affatto due pilastri, la crescita e il lavoro, da un lato, il debito, dall’altro.