Chiuse finalmente, liti, ripicche e scelte difficili legate alle liste elettorali, partiti e coalizioni possono – si spera – concentrarsi sui programmi. Su una cosa, soprattutto: la corsa folle del prezzo del gas. Una crescita strutturale per le ripicche di Putin (“Sta bruciando gas pur di non darlo all’Europa” ha spiegato Antonio Gozzi presidente di Federacciai). E speculativa dovuta al mercato e alle regole nella formazione del prezzo cui non si accenna a mettere mano.

L’annuncio, venerdì scorso, da parte di Gazprom della chiusura del gasdotto Nord Stream dal 31 agosto al 2 settembre per i soliti “problemi tecnici” cioè la manutenzione di un compressore, ieri ha fatto impennare il prezzo a 294 euro per mgw sfiorando quella quota 300 che era stata raggiunta a febbraio in concomitanza con l’inizio del conflitto. In serata la corsa ha rallentato fermandosi a 265 euro. Nord Stream lavora da settimane già al 20%. Il primo taglio alle forniture risale a giugno. Da allora i prezzi sono più che raddoppiati. Le previsioni per l’inverno 2023, a oggi, fissano le quotazioni a 259 euro al megawattore. Troppo alto.

In attesa che Bruxelles batta un colpo e decida di muoversi verso l’applicazione di un tetto al prezzo del gas a livello europeo, da due settimane è partito il piano di riduzione varato dal Consiglio europeo che prevede un taglio del 15% a seconda dei Paesi, all’Italia spetta il 7%. Per i primi di settembre il governo di Mario Draghi (“stiamo monitorando la situazione e siamo pronti ad intervenire” ha rassicurato ieri il sottosegretario alla Presidenza Roberto Garofoli intervenuto al Meeting di Comunione e Liberazione). Il governo dovrebbe presentare il piano a livello nazionale di riduzione dei consumi basato soprattutto sulla sostituzione del flusso di gas proveniente dalla Russia con altre fonti di approvvigionamento. Il ministro della Transizione energetica, Roberto Cingolani, nelle scorse settimane ha presentato le linee guida alla base del piano: riduzione di 1 grado della temperatura nelle abitazioni private, negli uffici pubblici e taglio di 1 ora nella durata di esercizio degli impianti. Ovvero massimo 19 gradi in inverno e non meno di 27 in estate.

Le previsioni del governo per avere un risparmio di 2,5 miliardi di metri cubi di gas, però, sono basate sui contratti del gas ad una media di 205 euro al Mwh. Oggi sono più alti. L’Italia ha anche bisogno di rimpiazzare 30 miliardi di gas provenienti dalla Russia. La maggior parte, 25 miliardi, derivano da accordi stipulati in quei mesi con altri paesi, in particolare in Africa. Il resto tra risparmi e diversificazione delle fonti con la crescita delle rinnovabili. La buona notizia è che i nostri stoccaggi stanno bene. Il livello delle nostre scorte è al 79%. Questo il quadro che il 25 settembre chi vincerà le elezioni si troverà davanti. Con l’urgenza primaria di gestire questa situazione nel breve e nel medio periodo. Oltre alla crisi delle famiglie, si rischia infatti il tracollo dell’industria: gli aumenti in bolletta raggiungono già oggi – anno su anno – il 500% in un settore d’eccellenza come quello della ceramica. Molte attività, fatti i conti, stanno riflettendo che non conviene stare aperti con questi costi vivi.

Siamo andati quindi a confrontare le proposte dei partiti e delle coalizioni per capire fino a che punto arriva la consapevolezza della situazione. Sono tutti d’accordo sulla necessità del price cap europeo. E’ un dossier su cui il governo di Mario Draghi lavora, spesso in solitudine, dall’inizio dell’anno. Se fino a giugno il nostro premier è rimasto in pratica inascoltato, a luglio è cambiato qualcosa. E nell’ultimo Consiglio europeo c’è stato l’impegno anche formale e scritto a valutare la fattibilità di questa misura. Chi ha le idee più chiare è il Terzo polo di Calenda e Renzi che non cambia una virgola il piano Draghi e s’impegna ad implementarlo e a creare tutte le condizioni per realizzarlo. Senza se e senza ma. E senza modifiche di sorta. “La risposta al caro bollette, oltre a continuare con i sostegni destinati a famiglie ed imprese e battersi ancora in Europa – ha spiegato Raffaella Paita, presidente della Commissione Trasporti alla Camera – consiste nel completamento degli impianti di rigassificazione e con la massima rapidità”.

La proposta del Terzo Polo è “velocizzare progettazioni e iter autorizzativi” non solo per i rigassificatori ma anche per le trivelle e per gli impianti delle rinnovabili. Una sorta di “modello Genova” da applicare al comparto energia. “L’idea – ha continuato Paita – è estendere il Piano Industria 4.0 ed aumentare gli incentivi a tutti gli impianti di accumulo energetico del Paese”. A domanda diretta Carlo Calenda ha aggiunto di voler arrivare a prelevare il 60 per cento degli extraprofitti alle aziende del comparto energetico che in Italia ha superato i 50 miliardi. Idee abbastanza chiare anche nel Pd che ha lanciato 5 proposte contro il caro bolletta ieri rilanciate su tutti i social: tetto al prezzo dell’elettricità (legato a quello del gas; qui la strada sarebbe il decoupling, la separazione, un’altra ricetta che Draghi ha portato in Europa, ndr); un nuovo contratto luce sociale; raddoppio del credito d’imposta per gli extra costi energetici delle imprese; piano nazionale per risparmiare energia; tetto Ue al prezzo del gas”.

Il Movimento 5 Stelle punta soprattutto sullo scostamento di bilancio per avere i soldi da restituire a famiglie ed imprese per sostenere la crisi energetica. Altro debito, un po’ come i 150 miliardi ai tempi del Covid. Servono tanti soldi, infatti, per ampliare la platea dei beneficiari del bonus luce e gas e per tagliare l’iva sui beni di prima necessità. “Servono misure emergenziali e strutturali – ha detto Gianni Girotto presidente della Commissione Industria del Senato. Anche per i 5 Stelle il price cap “temporaneo” è necessario. Nell’agenda di Conte anche “un operatore pubblico al 100% per la vendita di elettricità” (ancora più Stato, quindi) e un fondo per la compensazione dei maggiori costi sostenuti dagli enti locali per gli aumenti delle bollette. La sinistra di Fratoianni e Bonelli punta tutto sulle rinnovabili, sul price cap e sulla restituzione dei soldi alla famiglie e alle imprese. Peccato che molti dei progetti sulle rinnovabili – che anche a regime non potrebbero mai dare l’autosufficienza – siano fermi anche per i tanti no anteposti dagli ambientalisti.

Il centrodestra, infine. Silvio Berlusconi ha dedicato ieri una delle sue pillole del programma a questa emergenza. “Occorre occuparsene subito – ha detto – con provvedimenti urgenti per sterilizzare gli aumenti e partendo immediatamente nella realizzazione dei rigassificatori, dei termovalorizzatori, delle energie rinnovabili ed anche con le ricerche sul nucleare pulito. Tutte cose che la miopia ideologica della sinistra ha bloccato per anni, portandoci a questa situazione”. Nucleare, quindi, è la parola magica e chiave per il lungo periodo. Al netto del fatto che la dipendenza energetica dalla Russia è stato un punto fermo e crescente del ultimi vent’anni. Nel breve periodo, cioè ora, Paolo Arrigoni, responsabile dipartimento Energia, della Lega propone la proroga degli aiuti decisi dal governo Draghi (taglio accise, crediti di imposta su gas ed energia per le imprese).

Il centrodestra propone anche “controlli a raffica” negli uffici pubblici dove i termosifoni non dovranno superare i 19 gradi. E campagne di informazione per i cittadini per ottimizzare i risparmi. Anche il centrodestra oggi chiede il price cap. C’è un problema: una persona in Italia è in grado di gestire questo dossier contro i paesi “frugali” del nord Europa, a cominciare dall’Olanda. Si chiama Mario Draghi. “Siete fortunati ad avere Draghi” ebbe a dire a giugno il leader olandese Mark Rutte, il più acerrimo nemico del price cap. Destre e Cinque stelle lo hanno mandato a casa.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.