Il fattore comune sono gli applausi. Due anni fa, nonostante le restrizioni del Covid, la platea del meeting di Comunione e Liberazione misurò ogni sillaba dell’intervento di Mario Draghi in cerca di indizi per un suo prossimo coinvolgimento alla guida del Paese. L’ex presidente della Bce non parlava al pubblico italiano da mesi, forse anni – al di là del suo ruolo a Francoforte – e non fu casuale se di lì a poco Giuseppe Conte, alla guida del suo secondo governo, liquidò l’ipotesi Draghi come tra quella neppure possibili. “Lo vedo stanco” ebbe a dire. Era fine agosto, come oggi.

Sappiamo com’è andata, la crisi di governo innescata da Matteo Renzi e Italia viva, l’arrivo di quel banchiere. Due anni dopo gli applausi al meeting di Rimini sono molti di più, i più giovani fanno veri e proprio cori, i più adulti applaudono fino a spellarsi le mani. E se due anni fa eravamo tutti in cerca dell’indizio di un inizio, ieri siamo stati tutti in cerca di un indizio di segno opposto: la fine, l’addio di un’esperienza politica, un commiato. In un intervento lungo più di mezz’ora, però, è bene dire che quell’indizio non è arrivato. Il cuore dell’intervento di Draghi è stato quando ha messo in guardia da “protezionismi e isolazionismi” perché l’Italia ha sempre dato il meglio di sé quando ha potuto agire nell’ambito della comunità europea, la nostra casa.

“Il nostro debito pubblico, tra i più alti del mondo, è detenuto per oltre il 25% da investitori esteri. Protezionismo e isolazionismo non coincidono con il nostro interesse nazionale. Dalle illusioni autarchiche del secolo scorso alle pulsioni sovraniste che recentemente spingevano a lasciare l’euro, l’Italia non è mai stata forte quando ha deciso di fare da sola”. In oltre trenta minuti non ha mai citato per nome Giorgia Meloni e Matteo Salvini, ma la condanna del sovranismo è stata netta. Così come l’invito ad andare a votare il 25 settembre. “Saranno gli italiani, con il loro voto, a scegliere i loro rappresentanti per la prossima legislatura e quindi il programma del futuro esecutivo”. Il premier è convinto che l’Italia ce la farà “qualunque sarà il colore politico del prossimo Governo”.

Quello che lascia è un Paese con “le basi solide” che ha fatto buona parte dei compiti a casa: il debito pubblico in rapporto al prodotto interno lordo è sceso di 4,5 punti percentuali nel 2021 e il governo prevede continui a calare anche quest’anno di altri 3,8 punti percentuali. “Se queste previsioni dovessero confermarsi – ha detto Draghisi tratterebbe del maggior calo in termini assoluti in un biennio a partire dal dopoguerra”. Sul debito l’Italia ha avuto una performance migliore di Francia e Germania. La crescita è il vero motivo di orgoglio del premier e del suo governo. “Il prodotto interno lordo è aumentato del 6,6% lo scorso anno e la crescita acquisita per quest’anno è già del 3,4%. Siamo tornati ai livelli di Pil che registravamo prima della pandemia in anticipo rispetto alle stime della Commissione Europea. Secondo il Fondo Monetario Internazionale cresceremo più di Francia, Germania e della zona euro nel suo complesso”.

Sull’Ucraina il premier ha chiesto di evitare un disastro nucleare. “Speravo fino a ieri che la decisione di permettere l’accesso della centrale nucleare a ispettori dell’Onu fosse un altro di questi segni positivi. Purtroppo stanotte missili russi hanno bombardato la zona intorno alla centrale e quindi non posso che associarmi alle parole del Santo Padre perché si eviti un disastro nucleare. In ogni caso, in questa ricerca della pace è essenziale che le promesse siano sincere, che siano seguite da azioni concrete e che, soprattutto, sia l’Ucraina a decidere quali termini di pace siano accettabili”. “Il posto dell’Italia è al centro dell’Unione Europea e ancorato al Patto Atlantico, ai valori di democrazia, libertà, progresso sociale e civile che sono nella storia della nostra Repubblica. E con questa visione che i nostri padri, i nonni hanno ricostruito l’Italia e reso la sua economia una delle più dinamiche del mondo, con uno degli stati sociali più generosi. E’ grazie alla nostra appartenenza al mercato unico che siamo riusciti a costruire su queste basi un’economia con forti tutele per lavoratori e consumatori. Ed è grazie alla partecipazione dell’Italia da Paese fondatore se l’Europa è diventata un’ Unione di pace e di progresso”.

La spina nel fianco resta il gas le cui quotazioni ieri hanno toccato il record di sempre, 300 euro a megawattore. Il premier rivendica l’azione del governo che in pochi mesi “ha ridotto in modo significativo le importazioni di gas dalla Russia, un cambio radicale nella politica energetica italiana. Abbiamo stretto nuovi accordi per aumentare le forniture – dall’Algeria all’Azerbaigian. Gli effetti sono stati immediati”. Per il resto, Draghi fa Draghi, ripete cioè le soluzioni che indica ormai dalla fine dello scorso, quando la speculazione stava già facendo impazzire i prezzi e la Russia era ancora lontana da invadere i confini ucraini. Il tetto al prezzo del gas resta la via da percorrere subito. “Alcuni Paesi continuano a opporsi a questa idea perché temono che Mosca possa interrompere le forniture (cosa che in pratica ha già fatto, ndr). Però i frequenti blocchi nelle forniture di gas russo avvenuti quest’estate hanno dimostrato i limiti di questa posizione”.

Il risultato di questa incertezza è che comunque “oggi l’Europa, e i paesi contrari più di noi, si trova con forniture incerte di gas russo e prezzi esorbitanti”. Ecco che il price cap diventa obbligatorio. A meno di non voler continuare a foraggiare le compagnie e le società del comparto energetico. “La Commissione – ha ripetuto Draghi – è al lavoro su una proposta per introdurre un tetto al prezzo del gas, che sarà presentata al prossimo Consiglio Europeo. Non so quale esito avrà perché le posizioni sono molto diverse. Ma la Commissione presenterà anche una riflessione su come slegare il costo dell’energia elettrica dal costo del gas. Questo legame che c’è tra il costo dell’energia elettrica prodotta con le rinnovabili, e quindi acqua, sole, vento, e il prezzo massimo del gas ogni giorno è un legame che non ha più senso”.

Il premier ha sottolineato che “se sarà realizzata nei tempi previsti l’istallazione di due nuovi rigassificatori, l’Italia sarà in grado di diventare completamente indipendente dal gas russo a partire dall’autunno del 2024”. Il premier non ha mai nominato un leader o una parte politica. Ha voluto lanciare un altro messaggio sul Pnrr rivolto questa volta a Giorgia Meloni che ha chiesto all’Unione europea modifiche al Recovery Plan.L’erogazione dei finanziamenti del Pnrr, pari a 191,5 miliardi di euro dipende dalla valutazione che la Commissione Europea fa del Piano e della sua attuazione. Dipende, quindi, dalla nostra capacità di realizzare le politiche innovative che abbiamo ideato nei tempi stabiliti – come abbiamo fatto sinora.  Abbiamo conseguito tutti gli obiettivi previsti dalle prime due scadenze del piano, e siamo al lavoro per raggiungerne il più alto numero possibile prima del cambio di governo”. Resta da capire com’è che la stessa platea che ieri ha applaudito Draghi, il giorno prima non ha certo fischiato i leader politici che lo hanno mandato a casa e ora si candidano a guidare il Paese.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.