Premessa: un Piano per l’Africa è giusto e indispensabile. Per Africa, Italia ed Europa. L’Africa è infatti ormai partner indispensabile del Vecchio continente, e serve dialogarci non in ottica assistenzialista o securitaria sulla sola immigrazione, ma in una logica reciproca di crescita e sviluppo. Lo ricordava Mario Draghi al Financial Times: l’Europa ha contato su Stati Uniti per la difesa, Russia per l’energia, Cina per il commercio.  Ora il quadro è sfilacciato e non sarà facile tornare indietro. Dunque guardare all’Africa è vitale; importante farlo sulla scia di progetti ampi ed articolati, secondo una logica di pari riconoscimento e collaborazione. Lo ribadiva lo stesso presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con un antico proverbio africano: “Da soli si ve veloci, ma insieme si va lontano”.

La nostra critica, quindi, non è all’idea in sé. Ma alla scatola vuota che Meloni ha confezionato, in preda –siamo abituati – alla smania di annuncite di questa destra. È l’ennesimo atto di pubblicità ingannevole del Governo, arma di distrazione di massa dai fallimenti sulla gestione migratoria e dall’irrilevanza sui tavoli europei ed internazionali. Il Piano Mattei al momento è solo una dichiarazione di intenti priva di schede, progetti o risultati attesi. E soprattutto di fondi. Le risorse annunciate in pompa magna sono già predisposte su altri capitoli, sottratti nel caso a differenti obiettivi con un ridicolo gioco delle tre carte: dei 5,5 miliardi di euro se ne prenderebbero 3 dalla lotta al cambiamento climatico e 2,5 dalla cooperazione allo sviluppo. Quasi una beffa.

Imbarazzante poi che lo stesso presidente della Commissione dell’Unione africana, Moussa Faki – quello vero – dica di non essere stato minimamente consultato prima del vertice, per poi aggiungere: “Passiamo dalle parole ai fatti. Non ci accontentiamo di promesse poi non mantenute”. Sbagliato infine escludere il mondo vero, quello del terzo settore e della cooperazione, dalla cabina di regia che abbandona incomprensibilmente anche la Farnesina.

Da sola l’Italia può fare ben poco per fronteggiare la forte penetrazione sistemica in Africa di Cina e Russia. Anche di questo Meloni dovrebbe tener conto. Il suo Piano, se non inserito in una strategia globale su scala europea, è velleitario, poco competitivo. Lo dimostrano i forfait alla Conferenza di Paesi determinanti nello scacchiere africano come Sahel, Burkina Faso, Mali e Niger, e il banco vuoto della Nigeria, Paese africano più popoloso. È evidente che da sola l’Italia non potrà ottenere nessun risultato reale, al di là di parate propagandistiche. Non a caso la stessa Ursula von der Leyen a margine del summit si è precipitata a dire che “il Piano italiano è un complemento del nostro European Global Gateway, con i suoi 150 miliardi di investimenti, che è il nostro Piano per l’Africa”. Sarebbe saggio se per una volta il governo facesse un passo indietro e lavorasse in modo serio sul tema. Serve un progetto ampio, condiviso e adeguatamente finanziato, che coinvolga tutta l’Europa nel dialogo e nel confronto con i Paesi Africani. Ma servirebbero la rinuncia a propaganda e utopia, una visione che la destra non ha, oltre al cambiamento politico e culturale nell’approccio a un Continente strategico, che tra meno di 80 anni vedrà triplicata la popolazione, raggiungendo i quattro miliardi, e che già oggi (dice l’Fmi) annovera 12 Stati tra i 20 Paesi col più alto tasso di crescita negli ultimi 5 anni.

Piero De Luca - Deputato Pd

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