Tra la farsa e l’ilarità che in queste settimane hanno caratterizzato la campagna elettorale nel Regno Unito, una scomoda verità è stata schivata da tutti i partiti: lo stato disastroso delle finanze pubbliche e dell’economia in generale. Secondo il FMI, il PIL reale pro-capite nel Regno Unito è diminuito dello 0,2% tra il 2019 e il 2023. Tra i paesi più importanti, solo la Germania (con un calo dell’1%) e il Canada (con una diminuzione dell’1,4%) hanno fatto peggio. L’Italia è cresciuta del 2,5%, una performance positiva. Come ha dimostrato il rapporto Ending Stagnation della Resolution Foundation pubblicato lo scorso anno, il paese soffre di forti disuguaglianze e di una crescita economica molto debole.

Il reddito inferiore

I lavoratori britannici producono meno per ogni ora di lavoro rispetto ai loro omologhi in altre realtà avanzate come Stati Uniti, Germania e Francia. Secondo le ultime cifre dell’Office for National Statistics (l’agenzia governativa britannica che raccoglie e analizza le informazioni statistiche sullo stato del paese), nel primo trimestre del 2024 la produzione per ora di lavoro è superiore solamente dello 0,6% rispetto alla media pre-pandemia del 2019. La produttività del Regno Unito è cresciuta solo dello 0,4% annuo dalla crisi finanziaria, meno della metà del tasso dei 25 paesi più ricchi dell’OCSE. Il reddito delle famiglie del Regno Unito – che era superiore a quello di Francia e Germania – ora è inferiore, seppur ancora di poco sopra a quello italiano. Uno dei freni agli investimenti è il basso tasso di risparmio, più basso di quello di tutti gli altri membri del G7, che si attesta al 14%. In sostanza il Regno Unito non produce abbastanza per finanziare il proprio consumo.

Economia in paralisi

Appare evidente che l’economia del Regno Unito sia in paralisi, anche se è difficile indicare con precisione le cause strutturali. Nel frattempo abbondano varie opinioni. Ad esempio c’è chi sostiene che la produttività pre-crisi finanziaria fosse stata falsamente gonfiata dal boom della City di Londra, che da allora ha perso posizioni rispetto agli altri centri finanziari mondiali. Il settore delle costruzioni e delle abitazioni, che ha vissuto un boom prima del 2008, è crollato a causa del rialzo dei tassi di interesse. E ovviamente c’è la Brexit: anche se in questa fase è impossibile conoscere i suoi effetti in maniera precisa, non c’è dubbio che abbia reso più costoso e complicato sia fare affari sia trovare lavoratori. L’Office for Budget Responsibility (l’agenzia economica indipendente del governo) stima che le sue conseguenze avranno un impatto negativo sul PIL del Regno Unito, che rischia di essere inferiore del 4%.

Il programma dei Tory

In questo quadro sarebbero necessarie riforme strutturali, eppure nessun partito sembra essere disposto a parlare delle proprie intenzioni in quest’ottica. Il programma elettorale dei Tory, lanciato martedì, è un palese e disperato tentativo di recuperare voti dopo la disastrosa campagna. Stanno provando a puntare su un pacchetto (irrealistico e senza coperture) di 17 miliardi di sterline di tagli fiscali. Rachel Reeves, la cancelliera ombra, ha detto che Sunak sta “giocando a fare Liz Truss” e rischia di provocare un altro aumento dei tassi dei mutui, facendo riferimento al disastroso mini bilancio del 2023 che portò alla caduta dell’ex primo ministro. Di fronte alla follia dei Tory, il Labour cerca di apparire convincente e promette che il programma elettorale sarà “favorevole alle imprese” e metterà al centro “la stabilità a lungo termine”. Ma da nessuna parte si parla di riforme per stimolare gli investimenti, la produttività e l’attività economica.

Il confronto italiano

Al confronto invece, in Italia c’è la consapevolezza della necessità di rendere l’economia più competitiva e si affronta la sfida con il Pnrr, al di là del giudizio politico che si possa dare sulle riforme collegate al PNRR. Poco meno di 40 anni fa il reddito pro-capite italiano superò per un breve periodo di tempo quello del Regno Unito. Il Regno Unito non solo è afflitto da difficoltà economiche, ma deve anche fare i conti con una classe politica che sembra incapace o non interessata ad affrontarle. Se l’Italia riuscirà davvero ad attuare le riforme, allora non ci sarà di che sorprendersi se l’economia italiana superasse di nuovo quella del Regno Unito.

Natale Labia

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