Ci sono pochi attimi che contano così tanto per un paese come la Bosnia ed Erzegovina. Fra questi, il 2 maggio, giorno in cui i 193 paesi appartenenti alle Nazioni Unite sono chiamati, tramite l’Assemblea Generale, a votare su una risoluzione sul genocidio di Srebrenica. Una risoluzione importante, che non solo vuole sottolineare la necessità di riconoscere il genicidio e di rendere giustizia alle vittime, ma mira anche a introdurre una giornata – l’11 luglio – commemorativa a livello mondiale. Sarebbe un passo fondamentale e aumenterebbe la consapevolezza rispetto al genocidio e a quello che le vittime hanno dovuto passare.

Srebrenica non è stato un caso, e anche noi occidentali abbiamo contribuito in maniera significativa allo svolgimento del genocidio. O meglio, non lo abbiamo fermato, anche se avremmo potuto. Abbiamo quindi un compito importante, che è quello di far passare il messaggio che Srebrenica deve essere ricordato per quello che è stato: non solo un terribile massacro, ma un vero e proprio genocidio. C’era l’intento di sterminare la popolazione bosgnacca dal territorio. E questo non va dimenticato.
Istituire perciò la giornata del ricordo di Srebrenica come giornata mondiale non è solo un atto dovuto, ma purtroppo anche un segnale che arriva in ritardo. Sono passati quasi trent’anni, ed è ora di rimetterlo al centro.

Per la Bosnia ed Erzegovina questa è forse la prima vera e grande sfida diplomatica che si ritrova davanti (dopo l’apertura dei negoziati con l’Unione europea): deve infatti riuscire a trovare più partner possibili, più alleati possibili in grado di sostenerla e di fare uno sforzo diplomatico estremo per poter garantire il maggior supporto possibile a questa risoluzione.
Un lavoro complesso, considerando che Milorad Dodik (presidente dell’entità serba della Bosnia ed Erzegovina) ed Aleksandar Vucic (presidente serbo), non solo continuano a negare il genocidio, ma insistono sulle conseguenze negative dell’approvazione di questa risoluzione (in particolare, Dodik ha già minacciato conseguenze serie come la secessione della Republika Srpska – l’entità serba – dallo Stato della Bosnia ed Erzegovina).

Per fortuna non servirà un voto unanime del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per approvare la risoluzione, ma basterà quello a maggioranza dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite; significa che la Russia non sarà in grado di bloccare totalmente la risoluzione e i piani dei due alleati serbi non saranno così semplici da implementare.
Lo Srebrenica Memorial Centre (SMC) che documenta la tragedia sta facendo di tutto per far sentire la propria voce sul tema, e sta lavorando seriamente per cercare di spiegare anche ad altri paesi l’importanza di questa decisione non solo per Srebrenica, ma per la Bosnia ed Erzegovina intera. Una decisione che permetterà finalmente di vedere riconosciuta un’istanza che fa parte della loro storia più recente e darà modo alle vittime di ricevere un qualche riconoscimento di giustizia, anche se tardi e anche se ovviamente non sufficiente.
Ma oltre al lavoro del SMC, è necessario che ogni persona si faccia da tramite per far capire che cosa c’è in gioco e che cosa conta davvero. Noi nell’Unione europea siamo privilegiati, non sappiamo cosa siano le sofferenze che hanno vissuto in Bosnia ed Erzegovina perché dal 1945 non abbiamo più vissuto guerre e conflitti nell’Unione europea (nel 2012, l’UE ha perfino ricevuto il premio Nobel per la pace, per questo motivo).

Nei Balcani invece la sofferenza è ancora fresca e molte famiglie non hanno ancora idea di dove siano i corpi dei loro cari. Sono ancora alla ricerca di giustizia e purtroppo lo Stato bosniaco non gliel’ha ancora riconosciuta (in parte per la mancante volontà di impegnarsi seriamente, in parte perché i corpi non si sono più ritrovati, in parte perché i colpevoli sono a piede libero in Serbia, dove non vengono ricercati per i loro crimini di guerra, anzi, vengono glorificati e festeggiati per aver fatto quello che hanno fatto per la gloria della nazione serba).
Riconoscere, a livello mondiale, l’11 luglio come giornata ufficiale di Srebrenica significa dar voce alle 8.000 persone (circa) che sono state uccise e i cui corpi sono stati messi in fosse primarie, secondarie, perfino terziarie (per occultare il crimine e per togliere ogni resto di dignità perfino ai cadaveri).

Significa anche contratstare l’opinione dominante in Serbia che ancora oggi non riconosce il genocidio e non riconosce la propria responsabilità in esso. Significa dare finalmente, attraverso il riconomiscimento ufficiale, un po’ di sollievo alle famiglie delle vittime. E, come Bosnia ed Erzegovina, significa ottenere riconoscimento internazionale e in qualche modo anche un’ammissione di colpa: „vi abbiamo lasciati soli, nel 1995, non lo faremo ora.“ Messaggio che in Bosnia ed Erzegovina è fondamentale che arrivi e che contribuisca a riequilibrare la sofferenza e l’ingiustizia. Ma anche per creare le basi per costruire convivenza e una società giusta dopo un terribile conflitto.
Srebrenica dunque, deve essere ricordata da tutti. L’Italia è una dei co-firmatari della Risoluzione, e ciò rappresenta un’ottima cosa.

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Nata a Trento, laureata in Scienze Politiche all’Universitá di Innsbruck, ho due master in Studi Europei (Freie Universität Berlin e College of Europe Natolin) con una specializzazione in Storia europea e una tesi di laurea sui crimini di guerra ed elaborazione del passato in Germania e in Bosnia ed Erzegovina. Sono appassionata dei Balcani e della Bosnia ed Erzegovina in particolare, dove ho vissuto sei mesi e anche imparato il bosniaco.