Dopo le elezioni amministrative
La fine di Gheddafi e l’inizio dell’instabilità in Libia. Perché la comparsa del figlio Saif può cambiare le carte in tavola
Il crollo del regime di Assad ha fatto paragonare a tanti la situazione siriana a quello già visto in Libia dopo la caduta di Muammar Gheddafi nel 2011. La Libia non ha più trovato pace né unità ed ancora oggi il paese arabo è spaccato a metà. Nella capitale Tripoli governa il Primo ministro Abdulhamid Dabaida che guida il Governo di Accordo Nazionale e che a malapena riesce ad amministrare la Tripolitania. Questo governo, riconosciuto dalle Nazioni Unite, resta in piedi soltanto grazie al sostegno della Turchia che mette uomini e mezzi a disposizione di Dabaida. Accanto a soldati turchi e paramilitari siriani al soldo di Ankara, il Governo di Accordo Nazionale ha stretto un patto con diverse milizie locali che gli permettono di avere una parvenza di controllo del territorio. Ad est invece l’attuale Primo ministro Osama Hammad è un fantoccio nelle mani del generale Khalifa Haftar che alla guida del suo esercito personale domina la Cirenaica e minaccia continuamente il governo di Tripoli.
Accanto alle truppe di Haftar ci sono i mercenari russi del Wagner Group, ma anche Egitto e Francia appoggiano il governo che ha scelto Tobruch come sede amministrativa. La provincia del Fezzan, l’enorme sud desertico della Libia, è senza alcuna legge e qui sono le tribù beduine a comandare cambiando alleanza con i due governi e gestendo gli enormi traffici nel cuore del Sahara che vanno dai migranti alle armi fino alla droga proveniente dal Sud America attraverso la Guinea Bissau. Proprio dal remoto sud libico è riapparso sulla scena politica Saif al-Islam Gheddafi, secondogenito dell’ex presidente libico.
Saif che si era sempre presentato come il volto moderno e democratico del regime dittatoriale del padre aveva partecipato alla guerra civile dimostrandosi invece crudele e spietato come i fratelli e cercando di organizzare la resistenza alla morte del padre. Era stato arrestato nel novembre del 2011 mentre cercava di scappare in Niger e subito portato a Tripoli per essere processato. Prigioniero della milizia di Zintan viene condannato a morte dal tribunale di Tripoli nel 2015, ma la sentenza non viene eseguita perché questi miliziani hanno rotto i rapporti con il governo della capitale e non ne riconoscono più l’autorità, avendo trovato un accordo politico con il governo di Tobruch. Nel 2016 l’Alta Corte di Giustizia di Tobruch vara un’amnistia e Saif al-Islam Gheddafi viene scarcerato. Finito sotto la protezione del generale Haftar il figlio dell’ex colonnello stringe un’alleanza politica con il governo di Tobruch promettendogli di schierare i cosiddetti “verdi”, cioè nostalgici del regime di Gheddafi, al fianco dell’esecutivo della Cirenaica.
Con un mandato della Corte Penale internazionale per crimini contro l’umanità pendente sulla testa Saif al-Islam Gheddafi per cinque anni non aveva dato nessuna notizia di sé, ma aveva vissuto protetto dai clan tribali ex alleati del padre. Nel 2021 era riapparso in pubblico lanciandosi nella vita politica libica e presentando per il novembre dello stesso anno la sua candidatura alle presidenziali. Le elezioni libiche non si terranno mai e Dabaida rifiuterà di lasciare il suo posto anche dopo la scadenza e la sfiducia della Camera dei Rappresentanti di Tobruch che proverà anche con la forza a marciare su Tripoli senza però ottenere nulla di concreto. La capitale libica aveva visto anche feroci scontri fra milizie fedeli a quel governo che continuavano a combattersi per avere il controllo del potere soprattutto economico.
In questa situazione Saif al-Gheddafi aveva lavorato nella città meridionali per costruirsi un consenso, soprattutto fra i delusi ed i nostalgici del regime paterno. Diversi sondaggi avevano parlato di un possibile buon risultato alle presidenziali per Saif che avrebbe conquistato abbastanza voti per arrivare al ballottaggio. Per rompere lo stallo politico libico, le Nazioni Unite hanno lanciato, il 27 febbraio 2023, un piano per redigere gli emendamenti costituzionali e le leggi elettorali necessari per tenere elezioni “libere, inclusive e trasparenti”. Ma come era prevedibile questo piano è fallito e sono ancora in corso difficili consultazioni politiche per istituire un nuovo governo tecnico e organizzare le elezioni. I clan e le milizie restano i veri padroni della Libia sia a Tripoli che a Tobruch ed il nuovo inviato onusiano non sembra essere in grado di risolvere i problemi del paese affacciato sulle coste del Mediterraneo.
Fra ottobre e novembre del 2024 si sono faticosamente tenute elezioni amministrative e proprio in queste è emersa la figura di Saif al-Islam Gheddafi che si è dichiarato vincitore in molte città delle Libia meridionale. La commissione elettorale ha cercato di nascondere i dati ritardando l’ufficialità di alcuni giorni e dando modo a Gheddafi di accusare il governo di Tripoli di voler bloccare il voto popolare nelle 58 comunità che lo avevano visto trionfare. Un’affluenza del 75% aveva sottolineato l’insofferenza della comunità libica alle difficoltà e all’incertezza sul futuro del paese arabo che manca di stabilità da 13 anni. Saif al- Islam Gheddafi ha anche minacciato il Primo ministro Dabaida di rovesciarlo perché illegittimo e si è detto pronto a prendere il controllo della Libia. Un elemento destabilizzante in più in un teatro complesso ed articolato come quello libico che l’Europa dovrebbe impegnarsi per stabilizzare il più rapidamente possibile.
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