La Libia rimane un punto interrogativo. Per molti, qualcosa di più: un vero e proprio buco nero strategico. Dalla caduta di Muhammar Gheddafi, il paese nordafricano non si è mai riuscito a riprendere e a ricostituirsi davvero come un’entità unica e consolidata. La guerra civile, di fatto, non si è mai interrotta. Est e ovest – ovvero Cirenaica e Tripolitania – sono entità di fatto autonome e in competizione tra loro, anche con potenze esterne che le sponsorizzano pensando a un futuro della Libia completamente diverso l’uno dall’altro. Vere e proprie città-Stato rappresentano ormai centri di potere a sé stanti. E se la Cirenaica e parte del sud del paese sono sotto il pieno controllo del maresciallo Khalifa Haftar, a ovest, a Tripoli, il governo di unità nazionale (e l’unico riconosciuto ufficialmente dalla comunità internazionale) vede un Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh che lotta per un ruolo unitario e per un processo elettorale in tutte le zone del paese.

Il primo tentativo di normalità

Oggi c’è un primo tentativo di “normalità”: 176mila elettori si sono registrati per votare in 58 consigli municipali sparsi in varie zone dello Stato. Per Dbeibeh, che ha diffuso un video su Facebook, si tratta di “un giorno storico”. “Rifiuteremo sempre le proroghe e le fasi transitorie. Abbiamo sempre detto che possiamo arrivare alle elezioni parlamentari e presidenziali in qualsiasi momento, e la comunità internazionale, così come chi sta ostacolando il processo, deve rispettare la volontà del popolo libico e approvare leggi elettorali giuste per poter entrare in questa fase stabile”, ha continuato il primo ministro ad interim. Ma la situazione è difficile. E in questo caos, la Libia rimane una domanda a cui nessuno sa dare una risposta. La vita politica va avanti senza ricevere l’attenzione del mondo, nemmeno della vicina Europa, concentrata necessariamente sulla guerra in Ucraina e sul caos mediorientale.

Il caos calmo e la polizia morale

E in questo caos calmo a due passi dall’Italia, la quotidianità continua a scorrere in un’apparente paralisi. Apparente perché alcuni processi politici riaccendono le luci dei riflettori su quanto accade dall’altra parte del Canale di Sicilia. Uno su tutti, quello che è stato denunciato da alcune importanti organizzazioni non governative e da media sia locali che internazionali, e cioè la scelta di Tripoli per attivare la “polizia morale”. Il ministero dell’Interno avrà infatti una “Direzione generale per la protezione della morale pubblica” che servirà a controllare “il rispetto dei valori sociali e morali nelle aree pubbliche”. Occhi puntati sugli abiti e sulle acconciature, sui comportamenti in pubblico, ma anche sull’utilizzo dei social network. Tutto per monitorare il rispetto della morale e dei “valori” della Libia.

Il modello della “Gast-e ersad” iraniana

Dal momento che il paese è ormai da anni preda di un’anarchia dove dominano anche gruppi islamisti o movimenti molto attenti alla religione come strumento politico, non è da escludere – secondo gli esperti – che questa mossa di Dbeibeh e del suo ministro Emad Al-Trabelsi sia un modo per avvicinare clan e fazioni di questo stampo. Ma gli osservatori non mancano anche di vedere il lato molto più pragmatico della faccenda: quello di dare più spazio alla repressione. Jalel Harchaoui, esperto di sicurezza nordafricana del Royal United Services Institute for Defence and Security, ha detto al Telegraph che l’istituzione della polizia morale porterebbe a “semplificare gli arresti” senza la “formalità delle procedure legali”. E per molti critici, la polizia morale sul modello della “Gast-e ersad” iraniana andrebbe contro a tutto ciò che si è immaginato per la Libia post-Gheddafi.

main sponsor” della Tripolitania

Tripoli non è una Repubblica islamica, certo. Molti chiedono ancora a Dbeibeh di ripensarci. Tuttavia questo provvedimento rischia ancora di più di sganciare il paese dall’orbita occidentale, mentre si fanno largo – a livello geopolitico – partiti e fazioni che vorrebbero una Libia (o le Libie) sempre più orientata verso altri blocchi geopolitici. La Russia ha ormai pieno controllo della Cirenaica attraverso Haftar e la sfrutta per spostare uomini e mezzi verso il Sahel o come spina nel fianco della Nato nel Mediterraneo. La Turchia è a tutti gli effetti il “main sponsor” della Tripolitania. E per molti non è da escludere che il governo di unità nazionale guardi con un certo interesse ai Brics. La scorsa settimana, a Sochi, la Russia ha riunito i ministri africani per rafforzare i suoi legami con il continente. E la Libia, per lo zar, è una pedina fondamentale. Anche in chiave Brics.