Il presidente russo Vladimir Putin lancia il suo primo grande spot per l’Africa: grano gratis. Un messaggio chirurgico che arriva non certo casualmente dopo lo stop all’accordo per il transito dei cereali ucraini nel Mar Nero. L’apertura del summit Russia-Africa di San Pietroburgo non lascia alcun dubbio sulla partita politica che Mosca sta giocando nel continente a sud dell’Europa. Il Cremlino vuole blindare i partner africani, consapevole che quella parte del cosiddetto “sud del mondo” è sempre più di-stante dall’Occidente e sempre più attratta dalle sirene orientali.

Siano esse cinesi, russe, arabe o addirittura indiane. Stati Uniti e Unione europea hanno provato a cambiare marcia, consci che il caos africano è una spada di Damocle che pende sulla stabilità del fronte sud della Nato ma anche uno strumento con cui altri attori esterni possono influenzare la regione. Putin è stato più che cristallino. Secondo le agenzie di stampa russe, lo “zar” ha promesso di fornire gratuitamente tra le 25mila e le 50mila tonnellate di grano a Burkina Faso, Eritrea, Mali, Somalia, Zimbabwe, e Repubblica Centrafricana. Paesi non certo scelti a caso, visti i rapporti costruiti da Mosca.

In Burkina Faso da tempo aleggia l’ombra della Federazione Russa, con una crisi dimenticata dai media occidentali e con la Francia che ha ritirato da mesi le sue truppe. Stessa sorte toccata al Mali, dove la missione militare di Parigi è finita in modo sbrigativo mentre si sono affacciati all’orizzonte gli uomini della compagnia privata Wagner.

L’Eritrea, invece, si dimostra da tempo uno dei Paesi più fedeli alla Russia. Lo aveva rivelato il voto in Assemblea Generale Onu che non aveva condannato l’invasione dell’Ucraina. Ma non va dimenticato che a maggio il presidente Isaias Afwerki è stato in visita a Mosca, come prima aveva fatto ad Asmara il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, ed è da diverso tempo che si parla anche del possibile uti-lizzo di Massaua come base russa.

Per quanto riguarda la Somalia, invece, dopo l’ultima visita dello stesso Lavrov si era parlato di un’offerta russa per aiutare militarmente il governo di Mogadiscio con-tro l’organizzazione terrorista di Al Shabaab. Altri media avevano addirittura parlato di un interessa-mento di Mosca per la vecchia base sovietica di Berbera. La Repubblica centrafricana è al centro della rete di interessi russi. La consolidata presenza della Wagner nel Paese, formalmente riconosciuta dallo stesso governo locale, è il fiore all’occhiello della rete di Yevgeny Prigozhin. A questo proposito, la fo-to circolata in queste ore dello “chef di Putin” col leader centrafricano, entrambi a San Pietroburgo per il summit, lascia poco spazio all’immaginazione. Anche in questo caso, l’arrivo russo è coinciso con il ritiro dei militari francesi. Elemento che unisce gran parte di questi interventi di Mosca e che suggerisce un nesso tra errori dell’Occidente e capacità di Putin di sfruttarli.

Infine, lo Zimbabwe, unito a Mosca dai tempi dell’Unione Sovietica, ha ora interesse a rafforzare i rapporti per scongiurare una crisi energetica e alimentare che rischia di trascinare il Paese nel baratro. L’annuncio di Putin sul grano rientra quindi perfettamente in uno schema consolidato e che sembra portare benefici al Cremlino nono-stante l’isolamento dopo l’invasione dell’Ucraina. Ed è un segnale che deve far riflettere non solo l’Occidente in generale, ma anche più nello specifico l’Ue, gli Stati Uniti e infine l’Italia.

Il golpe in Niger è un ulteriore campanello d’allarme impossibile da non cogliere. Lì dove sono presenti i militari europei di Eumpm Niger oltre agli italiani della Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger (Misin), il caos è arrivato in modo repentino ed estremamente incisivo. Il golpe con cui è stato destituito il presidente Mohamed Bazoum rappresenta un colpo molto duro alla debole strategia africana europea ed è un problema anche per Roma, dal momento che Niamey è al centro del Sahel e delle rotte dei trafficanti di esseri umani che guidano la tratta fino alla vicina Libia. In caso di caduta dell’ultimo partner occidentale dell’area si aprono scenari complessi e non certo sereni. Non è un caso che il dossier africano sia al centro anche dei colloqui di Washington tra Giorgia Meloni e Joe Biden. Ma l’attivismo russo – e quello degli altri attori mondiali in Africa – rischia di essere non solo difficile da limitare, ma anche molto più capace di produrre effetti concreti e immediati.

Lorenzo Vita

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