Il golpe in Niger riporta al centro delle cronache anche il lavoro dei militari italiani impegnati all’estero. Nel Paese africano, l’Italia è presente con circa 300 militari della missione bilaterale di supporto al governo di Niamey, la missione Misin, e quelli dell’operazione europea Eu Military Partnership Mission in Niger. Per Roma un presidio strategico importante, che si unisce al contributo più articolato di altre potenze Nato, in particolare Francia e Stati Uniti, in quello che è considerato l’ultimo alleato dell’Occidente in Sahel.

In questi anni di attività le forze armate hanno svolto un ruolo significativo nel supportare Niamey nel controllo del Paese e delle frontiere e nell’addestramento delle truppe. E in un’area come il Sahel, dove altre potenze giocano una partita più risalente nel tempo e anche più massiccia a livello di personale e mezzi impiegati, l’inserimento italiano è un elemento da non sottovalutare per l’agenda nazionale.

Il Niger infatti non è solo un Paese che rischia di cadere nel caos ma è anche uno degli Stati di frontiera di quella grande area strategica pensata dall’Italia: il Mediterraneo allargato. Ed è proprio in questo spazio, dall’Africa all’Europa, che operano le principali missioni internazionali dei militari italiani. Operazioni spesso sottovalutate a livello mediatico o anche male interpretate da alcuni segmenti della politica nostrana, ma che hanno invece un peso rilevante sia negli equilibri dell’Alleanza atlantica, delle Nazioni Unite e dell’Unione europea, sia come strumento di difesa degli interessi nazionali. E questo avviene anche in luoghi dove sono continuamente attivi – o possono riattivarsi. focolai di tensione che sono anche parte di quel grande scontro tra superpotenze e blocchi di cui leggiamo quotidianamente sui giornali.

A conferma di questo, basta riflettere sulle maggiori missioni all’estero delle forze armate, che vanno dall’Africa all’Europa orientale fino al Medio Oriente. Aree che rappresentano, ognuna con proprie peculiarità, teatri estremamente sensibili per la sfida tra Russia, Cina e Occidente, oltre che permeati da continue sfide regionali e nazionali che possono pericolosamente far riesplodere il caos. In Africa, oltre alla missione in Niger, l’Italia è attiva nelle operazioni antipirateria per le principali rotte che solcano le acque del continente. Significativo anche il ruolo del contingente in Libia, un Paese centrale per tutta la strategia italiana mediterranea e nordafricana, con un impegno che vale anche per il controllo delle rotte del Mediterraneo centrale.

In Europa orientale l’attività italiana è soprattutto nell’ambito del cosiddetto air policing – la tutela dei cieli del fianco Est – ma anche nel mantenimento di una forza Nato lungo il confine con la Russia, in particolare in Lettonia. Più a sud, una delle più “antiche” missioni italiane è in Kosovo, con più di 800 militari impegnati in un’area ritenuta ancora oggi tra le più critiche del Vecchio Continente. La dimostrazione è arrivata anche dalle recenti tensioni nella parte settentrionale con la comunità serba, che si sono immediatamente riflesse in un acceso scontro diplomatico con Belgrado.

In Medio Oriente, due le missioni più importanti, in Iraq e in Libano. Nel primo di questi due Stati a essere attiva è la missione Prima Parthica, dove centinaia di militari lavorano per supportare il governo di Baghdad, l’addestramento delle forze di polizia e dei peshmerga fino a monitorare i cieli del Kuwait. In Libano, invece, l’Italia è impegnata con due missioni. Una bilaterale, Mibil, per l’addestramento delle forze libanesi, e una nell’ambito di Unifil, l’operazione delle Nazioni Unite per controllare la frontiera tra il Paese dei Cedri e Israele. Missioni cui si uniscono anche attività che giungono fino al Golfo Persico e all’Indo-Pacifico, e che fanno sì che l’Italia sia attiva non solo nel contesto del Mediterraneo Allargato ma anche a presidio dell’intero spazio di operazioni euroatlantico.