Una regione spaccata
Colpo di Stato in Niger: Usa e Francia col fiato sospeso
Da Washington, l’amministrazione Biden predica calma e non riconosce il Golpe
Il golpe in Niger continua a destare allarme nella comunità internazionale, e preoccupa non solo i Paesi più vicini, ma anche tutte le potenze presenti nell’area e che adesso fanno i conti con una realtà in rapida evoluzione.
Da Washington, l’amministrazione Biden predica calma. Non solo ha rifiutato di designare ufficialmente quanto accaduto in Niger come un colpo di Stato – e lo ha fatto per evitare che fosse imposto l’immediato blocco degli aiuti militari – ma ha anche evitato di evidenziare il ruolo di Mosca. “Non abbiamo nessuna indicazione che la Russia sia responsabile del golpe in Niger né che lo abbia supportato in nessun modo” ha detto il portavoce del Consiglio della sicurezza nazionale John Kirby. E questo sembra non solo un modo per prendere tempo in attesa di capire le reali intenzioni del Cremlino, che non riconosce i golpisti, ma anche per non dare un peso eccessivo a possibili manovre russe nella regione.
La Casa Bianca, così come la Francia, si trova infatti nella difficile situazione di sostenere il ripristino della democrazia senza però far passare le proprie attività come uno strumento di pressione o di “neocolonialismo”. Un’eventualità, quest’ultima, che farebbe il gioco tanto della propaganda golpista quanto di quella della Wagner, che ha subito sostenuto il putsch anche smentendo le indicazioni di Mosca. Inoltre, il Niger per Washington rappresenta un grosso grattacapo strategico, poiché non solo è l’ultimo tassello di un Sahel in preda al caos e a forze contrarie all’Occidente, ma è anche un campanello d’allarme per l’agenda americana nella regione. Da molti anni, il Pentagono si muove più o meno nell’ombra in operazioni antiterrorismo.
Una di queste diventata di dominio pubblico per la morte di alcuni uomini delle forze speciali. Mentre ad Agadez è presente la principale base militare Usa dell’area con droni e più di un migliaio di soldati. La caduta di Mohamed Bazoum può minare la presenza statunitense. Un rischio che accomuna gli Usa alla Francia, che ha già dovuto ammainare le proprie bandiere in Mali e Burkina Faso dopo essere diventata una forza non più gradita in quei Paesi. Lo Stato maggiore francese ieri ha confermato che il ritiro del contingente militare transalpino non è all’ordine del giorno.
Tuttavia, in una situazione così delicata e soprattutto mutevole, non è da escludere nessuna opzione, in attesa che terminino le evacuazioni dei civili. Ecowas, riunita da giorni in Nigeria, ad Abuja, studia le mosse per porre fine al caos esploso in Niger. La minaccia dell’uso della forza come extrema ratio per ripristinare il governo legittimo di Bazoum e bloccare le operazioni dei golpisti continua a essere la prima ipotesi sul tavolo. Una scelta che trova al momento anche il sostegno del Regno Unito, il cui ministro degli Esteri, James Cleverly, ha annunciato il pieno supporto di Londra a ogni iniziativa della Comunità economica dell’Africa occidentale. Questa ipotesi rischia però di essere un’arma a doppio taglio.
I golpisti hanno già risposto all’ultimatum arrivato da Abuja mettendo in guardia dalle “conseguenze che deriveranno da qualsiasi intervento militare straniero” che, a loro dire, “non finirà altro che con il massacro della popolazione nigerina e il caos”. Inoltre, la possibilità di una missione Ecowas sostenuta dall’Occidente ha già spaccato l’organizzazione africana, con Mali e Burkina Faso che hanno detto che avrebbero considerato qualsiasi iniziativa in Niger come una dichiarazione di guerra nei loro confronti. La dichiarazione dei due governi africani non è un fulmine a ciel sereno, considerato che entrambi sono stati teatro di colpi di Stato antioccidentali – in particolare antifrancesi – e sono ormai ritenuti pienamente allineati alla Russia.
Tuttavia, dal momento che anche l’Algeria – non a caso altro alleato di Mosca – ha messo in guardia da un intervento militare straniero in Niger, pur sostenendo Bazoum, tutto fa credere che l’opzione della forza sia un punto interrogativo per gli equilibri regionali. L’opzione, se fosse attuata, potrebbe essere lasciata nelle mani dei Paesi di Ecowas, posto che un qualsiasi tipo di supporto europeo o statunitense sarebbe visto come una intromissione negli affari africani.
Ad avvertire di questo rischio è stato anche il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, che nei giorni scorsi ha ricordato come un intervento militare dell’Occidente “sarebbe un errore clamoroso” e che “non possiamo dare l’idea di essere neo-colonizzatori”.
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