Chissà quale spiritello maligno avrà consigliato al procuratore generale Giovanni Salvi, a pochi giorni dalla pensione, un’uscita di scena così tragica, così negativa, così masochistica. Un vero boomerang, l’intervista rilasciata a Giovanni Bianconi del Corriere. Che gli frutterà un bel processo penale, dopo la querela per diffamazione già annunciata da Luca Palamara, e soprattutto un bel faro acceso sulla sua attività di magistrato e sulla sua carriera fino al vertice di numero uno di tutti i pubblici ministeri italiani. Un ruolo cui lui teneva parecchio, secondo quanto scritto nel libro “Il Sistema”, tanto da percorrere la strada usuale, quella di tutti: un incontro con il “burattinaio” che teneva i fili delle carriere, secondo spartizioni correntizie, cioè politiche.

Era stato il “caso”, con qualche forzatura, verso la fine del 2019 e dopo l’esplosione dello scandalo Palamara e l’apertura di quel vaso di pandora da cui erano uscite tutte le porcherie di piccoli uomini e piccole donne impegnati più alla propria scalata sociale e professionale che non all’amministrazione della giustizia, a portare Giovanni Salvi sullo scranno più alto nella graduatoria dei pubblici ministeri. Perché parliamo di forzatura? Perché nell’operazione chirurgica che porterà all’estromissione velocissima di Palamara e pochi altri e all’amnistia generalizzata per tutti gli altri complici del “Sistema”, finirà ingiustamente nella polvere il procuratore generale della cassazione Riccardo Fuzio, indagato dalla procura di Perugia per rivelazione di atti d’ufficio e poi prosciolto. Ma intanto il posto si era liberato, con le sue dimissioni. E qualcuno si era subito mosso. Su quell’incontro a tavola tra Giovanni Salvi e Luca Palamara, forse il procuratore generale avrebbe fatto meglio a sorvolare, perché ora rischia di ritrovarsi davanti a un tribunale penale in cui dover spiegare non solo le circostante di un pranzo, ma forse tutti i passaggi della sua carriera, a Catania, alla Corte d’appello di Roma e poi al vertice dei pubblici ministeri. Ha fatto parte o no anche sui del sistema di spartizione correntizia, cioè politica? Non è una domanda peregrina, visto che quasi un centinaio di magistrati avevano chiesto le sue dimissioni.

“Io mi posso guardare allo specchio ogni mattina, spero lo possa fare anche lui riguardo a quel pranzo”, dice oggi Palamara, parafrasando il famoso messaggio di Enzo Tortora ai suoi giudici, “io sono innocente, sperso si possa dire altrettanto di voi”. Resta il fatto che una vera denuncia per diffamazione nei confronti degli autori del libro “Il Sistema” il procuratore Salvi non l’ha presentata. Forse ha agito in sede civile, come fanno sempre i magistrati, magari con la procedura di mediazione, si stacca un assegno e la cosa finisce lì. E pare poco credibile quel che racconta al suo cronista di riferimento, sul quotidiano di riferimento, su un incontro tra i due per parlare di questioni di scorta. Chi ha pagato il conto, avrebbe potuto chiedergli Bianconi. Forse un giudice vorrà saperlo, quando sarà il momento. Chi era davvero interessato a quel pranzo? Lui dice oggi che “il vero disegno” di Palamara e Sallusti con il libro fosse “delegittimare l’intera funzione giurisdizionale per creare il convincimento che certe decisioni di grande rilievo e risonanza derivassero da motivazioni politiche”. Nessuno glielo dice, ma la gente la pensa proprio così, strano che il dottor Salvi non se ne sia accorto, e nemmeno il Corriere della sera.

Se ci sarà quel processo (Palamara ci conta, lui ha ancora fiducia nella magistratura), si potrà anche verificare se veramente il pg abbia esercitato, dopo la vicenda dell’hotel Champagne e la scoperta delle spartizioni correntizie dei posti di potere tra toghe, “29 azioni disciplinari”, “20 rinvii a giudizio” e “14 condanne” dei magistrati che intrallazzavano come piccoli social climber. O se invece, come però precisa lo stesso ex “burattinaio”, “la montagna ha partorito il topolino, e questa intervista mostra grande nervosismo perché non tutto è andato come lui desiderava quando ha fatto la famosa roboante conferenza stampa del 25 giugno del 2020”. Quella in cui Salvi aveva giurato che avrebbe usato la massima severità. E poi si è invece molto impegnato a tutelare se stesso e gli altri con le circolari che amnistiavano le “autoraccomandazioni”. Ponendo anche quella sorta di segreto di Stato sulle motivazioni che hanno costellato le archiviazioni.

C’è un caso però in cui non si è guardato in faccia nessuno. Lo denuncia il direttivo della camera penale di Catanzaro, che interviene sulla vicenda di due magistrati calabresi, Pietro Scuteri e Giuseppe Perri, attualmente in servizio presso la sezione civile della Corte d’appello di Catanzaro. Nei loro confronti è aperta una pratica di trasferimento in quanto avevano accettato un invito a cena a casa dell’avvocato Giancarlo Pittelli, da due anni e mezzo privato della libertà in quanto imputato nel mega-processo voluto dal procuratore Nicola Gratteri, dal titolo “Rinascita Scott”. La cena si era svolta in epoca precedente al famoso blitz del 19 dicembre 2019, quando avvenne la retata che coinvolse centinaia di persone tra cui il noto penalista. Che cosa c’entrano i due giudici in tutto ciò? Nulla. Come potevano sapere che tempo dopo il loro ospite sarebbe stato incriminato per concorso esterno in associazione mafiosa? Però la pratica di trasferimento era stata comunque avviata. Massima severità, giusto. E poi, ciliegina sulla torta, benché la prima commissione del Csm avesse proposto l’archiviazione, non rinvenendo nel comportamento dei due giudici nulla che giustificasse il provvedimento punitivo, nel plenum era accaduto quel che non succede spesso quando si tratta di pratiche di tipo correntizio, che vengono accantonate e “silenziate”.

Era accaduto che, su suggerimento del membro laico Benedetti, il plenum abbia deciso il ritorno in commissione per un approfondimento. Ben altro ci sarebbe da approfondire, e nei confronti di altri magistrati, cari consiglieri del Csm! Come mai per esempio due famosi procuratori hanno potuto dire di aver smarrito o buttato via il cellulare che conteneva prove di una conversazione rilevante per le indagini? “Io non sono stato così fortunato da perdere il cellulare”, commenta Luca Palamara, pensando alle sue migliaia di chat che gli hanno rovinato la vita, alla fine. Comunque è paradossale che nel caso calabrese si debbano muovere gli avvocati a difendere i giudici. Succede anche questo, quando i colleghi sono in altre faccende affaccendati.

Per esempio il procuratore Gratteri è troppo impegnato con le interviste contro la riforma Cartabia. Così ci pensano quelli con la toga sbagliata. “I dottori Perri e Scuteri- dicono i membri del direttivo della Camera penale di Catanzaro- sono sempre stati magistrati liberi da qualsivoglia forma di influenza, fedeli alla Repubblica e alla Costituzione, che hanno onorato la toga indossandola con grande equilibrio e autentico spirito di servizio. Mai, in alcun modo, essi hanno appannato, né ieri né oggi, la loro immagine di magistrati irreprensibili”. Chissà se al Csm avranno tempo di ascoltarli. E se il nuovo procuratore generale Salvato darà un’occhiata alla pratica nel suo primo giorno di lavoro, il 10 luglio. Il dottor Salvi è ormai proiettato sul proprio futuro, l’intervista al Corriere è solo il primo passo.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.