Il risultato del referendum costituzionale del 20-21 settembre avrà più importanza delle stesse elezioni regionali che si svolgeranno nei medesimi giorni. Queste ultime, qualunque sia il risultato, non incideranno sul governo dell’Italia, digerite con argomenti vari e opposti, sempre ricavati dagli stessi risultati.
Il referendum no: se dovesse prevalere il No alla proposta di riduzione del numero dei parlamentari cadrebbe una delle componenti storiche dell’ideologia, per dir così, del movimento di Grillo che ora tiene banco su tutte o quasi le decisioni del governo, la nullità del Pd risultando sempre più clamorosa e inarrestabile. Governo, mai si dimentichi, presieduto da Conte, ovvero da un uomo che, venendo dal nulla politico, rappresenta al meglio il nulla culturale prima che politico che affolla la sua azione di governo, la quale perciò non ha interesse da quale maggioranza sia sostenuta.
Sui risultati delle regionali ci può sempre essere, qualunque essi siano, il tramestio delle giustificazioni locali: sul referendum costituzionale questo non può avvenire. E dunque lì o si rafforza l’asse politico dominante o esso entra in radicale discussione.
Personalmente, questo è il significato che do a quel voto, perciò anzitutto di cruciale carattere politico. Il voto degli italiani, con la vittoria del No, darebbe un colpo decisivo all’antiparlamentarismo, bandiera dei 5 stelle, che oggi lo ammantano di argomentazioni cercando di nasconderne l’impronta originaria che fu nettamente eversiva. Che non è antipolitica, come trionfalmente e a ragione, annuncia il Di Maio, ma antidemocratica e anticostituzionale; che è, eccome, una politica la quale aiuta l’agonia delle democrazie rappresentative e costituzionali sicuramente in corso. Al fondo, prevale l’idea originaria della sostanziale inutilità della rappresentanza istituzionale sostituita dalla casta che si è già sostituita al parlamento anche traendo indebito e scandaloso profitto dall’emergenza ben nota. Il tutto ammantato dal peggior argomento possibile, i quattro soldi che si risparmiano, immaginando di avere con questo argomento, un plebiscito schiettamente populista. Una rivincita insomma, per tornare in cima.
Questo è il senso politico dello scontro, e non entro nemmeno a fondo nel merito costituzionale, chiarito da tanti autorevoli interventi, tra i più recenti quello di Giuseppe Tesauro, ex Presidente della Corte costituzionale.
Il punto è chiaro: isolato da una più complessiva riforma – ed così che sta per avvenire, checché ne dicano le pretestuose osservazioni alla Zingaretti per giustificare il voltafaccia: la politica non ha più il senso della vergogna – la riduzione dei parlamentari è solo la ciliegina finale sulla torta che già il governo sta letteralmente divorando: emergenza, emergenza, decreti, decreti, parlamento esposto al senso del nullismo, aula sorda e grigia, come da vecchio detto, in diverso quadro. Siamo già in piena deriva antiparlamentare, c’è solo da aggiungere l’ufficialità della cosa che sancirebbe la ripresa del rapporto dei 5 stelle con il “popolo”.
La lotta al populismo, dichiarata da tanti e dal Pd su tutti, è andata in archivio, con qualche meritoria eccezione. Il riformismo in Italia non ha più quasi dove specchiarsi.
Ma non è detto che ciò avvenga.
Non è detto che un moto culturale prima che politico (culturale non in senso elitario ma attinente alla sostanza vitale di una società, al suo senso comune profondo), non opponga il suo “No alla deriva anticostituzionale”.
E non vengano i sepolcri imbiancati di qualche costituzionalista formalista a dire “tutto a posto”, “niente di male”: la Costituzione è certo “Forma”, ma è quella forma che racchiude la sostanza vitale e storica di una nazione, e oggi sta perfino oltre di essa, e dunque metter le mani nei suoi ingranaggi a colpi d’accetta come si cerca di fare su richiesta populista, è un vulnus alla sua identità. “Juristen bose Christen”, giuristi cattivi cristiani, è detto famoso. E questo talvolta è vero, quando la forma della costituzione dimentica la costituzione materiale che sta dietro e dentro di essa. E non parliamo dei populisti di governo. Quelli non sanno di che si parla, la loro cultura ignora l’alfabeto di questi problemi. Si direbbe: lasciamoli al loro destino se non fossero essi a voler decidere del nostro.