«Mio padre è morto di malagiustizia ma anche di pessimo giornalismo. In questo senso è morto invano, perché la sua vicenda ha insegnato poco ai colleghi e ancor meno a parte della magistratura». A dirlo in una intervista apparsa ieri sul quotidiano Libero è Gaia Tortora, giornalista, vicedirettrice del tg di La7 e figlia di Enzo: una delle più note vittime della giustizia italiana.
Nei giorni scorsi Gaia Tortora era sbottata su Twitter indirizzando un sonoro “Mavaffanculo” a Marco Travaglio che in un editoriale sul Fatto aveva sostenuto che «non c`è nulla di scandaloso se un presunto innocente finisce in carcere». Travaglio, allora, ha accusato Tortora di essere una ciuccia e le ha preannunciato “un corso di recupero”, perché che un “presunto innocente” possa finire in galera “lo prevede la legge” e “solo la sentenza definitiva dirà se era colpevole o innocente”, ha replicato in un secondo articolo.

«Può pensarla così solo chi non si è mai ritrovato accusato di quel che non aveva mai fatto. Sono argomentazioni da azzeccagarbugli», afferma Gaia Tortora nel suo lungo colloquio con Pietro Senaldi su Libero. «Lui (Travaglio ndr) usa per sostenere le sue tesi gli stessi argomenti dell`ex pm Davigo. Sono il suo cavallo di battaglia, e poi vuol far credere di essere l`unico giornalista in Italia che conosce il diritto; invece non è così, io la giustizia italiana la bazzico dai tempi delle medie, per vicende personali non piacevoli. Ma quello che è ancora più scandaloso rispetto a quel che scrive è che Travaglio per difendere le sue idee insulti i colleghi». A proposito di colleghi, Tortora ammette che la vicenda l’ha fatta riflettere anche sulla propria categoria. «Ho ricevuto della solidarietà, ma ho anche constatato che, quando fai certe battaglie e ti esponi, non sono in tanti quelli che ti dicono coraggio, vai avanti. Io sono stata insultata». E ricorda come anche il cattivo giornalismo abbia giocato un ruolo nel calvario del padre Enzo, incarcerato e condannato ingiustamente, esposto alla gogna mediatica e poi assolto: «Non è morto in pace, non si è mai riconciliato con il sistema. Lui poi mi diceva sempre che il carcere ti marchia e agli occhi dell`opinione pubblica, o almeno di una parte di essa, resti comunque un individuo sospetto.

La cosa lo faceva impazzire», racconta nell’intervista. Per Gaia Tortora, sul carcere preventivo si potrebbero fare dei cambiamenti, «Ci sono misure alternative. Le carceri scoppiano, e noi veniamo condannati dall`Europa per le condizioni di detenzione ma metà dei prigionieri sono in attesa di giudizio. Non c`è volontà politica di risolvere la situazione», denuncia. E a Senaldi che le chiede se i giudici debbano pagare per i propri errori risponde senza indugio: «Sì, specie quando penso che i responsabili dell`inferno di mio padre hanno fatto tutti ottime carriere». Ma non avviene perché «quella della magistratura è la lobby più potente che c`è in Italia. Uno dei mali della giustizia è proprio che i giudici pretendono di non essere mai messi in discussione. E la politica va loro dietro, asserendo che le sentenze non si commentano». Per lei la prescrizione va reintrodotta, «ma vorrei una riflessione più ampia sulla giustizia» che è «il problema numero uno in Italia, e non solo per gli innocenti in carcere, ma perché la burocrazia e la lentezza e incertezza dei processi sono un freno al lavoro delle imprese di casa nostra e allontanano dall’Italia gli investimenti stranieri».

E riguardo al governo dice: «I grillini hanno il giustizialismo nel dna, ci hanno preso i voti, come con il reddito di cittadinanza. Dal Pd però mi aspetterei un ragionamento vero sul tema giustizia. Renzi aveva provato a metterci mano, forse anche per questo ora si ritrova con le inchieste in casa». Secondo la giornalista, il Pd «ha sempre approcciato il problema con troppa timidezza», inoltre «non ha mai fatto del garantismo una propria battaglia». E conclude: «Scontrarsi con la magistratura è difficile. Le sentenze le fanno i giudici e se li attacchi poi spunta sempre fuori qualcosa…».

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