Il 22 luglio del 1980, giusto 40 anni fa, il senatore comunista Gerardo Chiaromonte promosse una cena politica “trasversale”. La organizzò a casa di un suo collega di partito, Ugo Pecchioli. Chiaromonte lo fece per ragioni politiche e scelse Pecchioli come ospite perché Pecchioli aveva buoni rapporti con uno dei due invitati di lusso. I due invitati erano due lontani cugini sardi, di Sassari. Enrico Berlinguer e Francesco Cossiga.

I loro nonni erano cugini. Berlinguer era il capo carismatico del Partito comunista. Cossiga, esponente della sinistra democristiana, era in quel momento Presidente del Consiglio. Ed era nei guai. Si era scoperto che due mesi prima aveva avvisato uno dei suoi colleghi, e cioè Carlo Donat Cattin vicesegretario della Dc, che uno dei suoi figli era ricercato dalla polizia perché militante di Prima Linea (cioè di un gruppo terroristico) e coinvolto in alcune azioni armate. Forse Cossiga aveva anche aiutato Donat Cattin ad ottenere un passaporto per suo figlio, ma questo non fu mai dimostrato. Non fu mai provato nemmeno che Carlo Donat Cattin avesse avvertito il figlio o lo avesse aiutato a fuggire in Francia.

L’opposizione chiese di mettere Cossiga in stato di accusa, cioè di mandarlo a processo. In commissione Inquirente (la commissione parlamentare che funzionava da giudice istruttore per i ministri) la richiesta non passò. Ma l’ultima parola era dell’aula. Cinque giorni di discussione infuocata: il Pci, che era all’opposizione, voleva il processo. Chiaromonte però, che faceva parte dell’ala migliorista del Pci, aveva forti dubbi. Voleva cercare un accordo. Chiaromonte è stato nel Pci per anni uno dei capifila più convinti e autorevoli della pattuglia garantista. Il voto era fissato per la mattina del 23 luglio. La cena da Pecchioli fu il 22 luglio.

Fu una cena allegra, spensierata, quasi cameratesca. Cossiga era in forma, Chiaromonte si sforzò di tenere un clima fraterno. Scherzava, raccontava aneddoti. Pecchioli, piemontese austero, dava corda a Chiaromonte. Non si parlò però del merito della questione. Si aspettava il gelato per andare al dunque… Berlinguer taceva. Tacque tutta la sera, ma a lui capitava spesso di tacere quando era in compagnia. Mangiò gli spaghetti, mangiò il brasato, teneva il tovagliolo al collo. Un paio di volte, assaggiando il piatto che arrivava in tavola, commentò: “buono”. Poi silenzio.

Finito il gelato Berlinguer finalmente alzò gli occhi dal piatto, guardò il cugino, e pronunciò poche parole, quasi sottovoce, col suo accento sardo forte che faceva saltare tutte le doppie: «Francesco, ti informo che domani mattina il partito comunista italiano voterà la tua messa in stato di accusa». Fu il gelo. Chiaromonte smise di parlare. Cossiga di scherzare. Pecchioli muto. Berlinguer si alzò, si salutarono. Molto formalmente. Forse da allora Berlinguer e Cossiga non si sono più parlati.

P.S. Questo racconto, proprio così come l’ho scritto, me lo ha fatto tanti anni fa Gerardo Chiaromonte

P.S. 2. Il giorno dopo la cena, la Camera votò a scrutinio palese. La maggioranza fu compatta e il Pci quindi fu sconfitto. Il governo si salvò. Vivacchiò ancora un paio di mesi appena, poi saltò perché i franchi tiratori impallinarono Cossiga sulla legge finanziaria. La carriera di Donat Cattin, gran protagonista delle lotte sociali e sindacali e della politica italiana negli anni Sessanta e Settanta, finì di colpo. Il figlio fu arrestato in dicembre. Condannato a 7 anni. Ne scontò 5 in cella, poi ottenne la semilibertà. Fece un figlio. Una notte, nell’estate del 1988, si fermò sull’autostrada per soccorrere dei feriti in un incidente. Provò a fermare il traffico. Lo travolsero: morì a 35 anni, con un figlio di otto mesi.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.