Seguo con grande interesse il dibattito sul “socialismo” che ormai sta diventando, giorno dopo giorno, sempre più interessante e sistematico su Il Riformista e dopo gli interventi di Bertinotti, di De Giovanni, di Cicchitto, Luigi Covatta ha correttamente fatto riferimento a Norberto Bobbio per fare chiarezza sul concetto di riformismo. In particolare secondo Bobbio «se per riformismo si intende il partito del cambiamento, riformisti sono gli altri, infatti dove tutti sono riformisti nessuno è riformista; il riformismo andava definito come azione o insieme di azioni prolungatisi nel tempo indirizzate al cambiamento in base a progetti» e purtroppo «sbattuti dal vento delle ideologie abbiamo perso la bussola».

Partendo da una simile denuncia Covatta ritiene che proprio la triste esperienza che stiamo vivendo farà «non mancare un rifolo di vento che ci spinge e sia l’occasione per trasformare la crisi in opportunità». Non riesco, però, a capire come possa cambiare un indirizzo ideologico il ricorso a una politica fiscale anticiclica, ad una politica che, sempre secondo Covatta, diventerebbe essenziale per accelerare la ripresa e ridurre la disoccupazione. In realtà proprio inseguendo un nuovo riformismo dobbiamo cambiare integralmente la nostra grammatica interpretativa di ciò che definiamo politica economica.

In fondo a parte la nostra attuale esperienza giornaliera ormai ridotta a ritmi inimmaginabili e, onestamente, inammissibili, quello che più sconcerta è la grave ibernazione di ciò che chiamavamo in modo scontato “produzione”, di ciò che per un Paese manifatturiero come il nostro rappresentava la normalità giornaliera, mensile, annuale e che caratterizzava, in modo ormai sistematico, quell’indicatore a tutti noto come Prodotto interno lordo. Siamo stati costretti per sopravvivere ad ibernare questa macchina non umana ma complessa e sofisticata senza dubbio più del corpo umano. Il vero problema a mio modesto avviso ora è il risveglio; da più parti ci viene detto che saranno mesi ed anni difficili, da più parti ci viene ripetuto “nulla sarà come prima”, da più parti ci viene assicurato che riusciremo a superare questa crisi, ma nessuno ci dice come saremo in grado di “uscire dalla ibernazione”, o meglio nessuno ci dice se il processo produttivo del pianeta, il sistema economico del Paese torneranno in vita.

Il Professor Bedford aveva scelto la ibernazione perché sperava che il futuro avrebbe reso possibile la scoperta di medicinali o di tecniche mediche capaci di curare e mantenere in vita il corpo umano attraverso qualcosa che non era conosciuto nel 1967 mentre noi, non dopo 53 anni, ma speriamo dopo pochi mesi, saremo costretti a riattivare un sistema economico senza disporre però di tecniche e di intuizioni diverse da quelle finora conosciute. Sicuramente di fronte ad un simile difficile e rischioso impatto, il riformismo – «come azione o insieme di azioni prolungatisi nel tempo indirizzate al cambiamento in base a progetti» – potrà essere l’unico approccio per tentare di utilizzare procedure e strumenti completamente diversi da quelli finora usati: cambierà il modo di interpretare il “sociale”, cambierà il modo di misurare la capacità di produrre e sarà solo ridicolo ricorrere a indicatori come il Pil, sarà necessario rivedere il concetto di indebitamento e al tempo stesso l’articolata e finora discutibile politica fiscale. Tutto questo con un approccio metodologico completamente diverso.

In realtà questa sensazione la vivremo proprio nel momento in cui tenteremo di riattivare la macchina, tenteremo di annullare questa temporanea ibernazione. Per questo non temo gli anni che verranno, non temo le difficoltà che tutte le fasce generazionali incontreranno per non cadere in modo irreversibile in una lunga decrescita, temo, invece, la possibilità di riattivare davvero, a scala mondiale, ciò che chiamavamo sistema socio economico e, soprattutto, temo che non ci siamo ancora resi conto che per uscire dalla ibernazione sia necessario utilizzare strumenti, logiche e modalità completamente diversi da quelli che hanno caratterizzato il passato.

Per questo condivido pienamente quanto riportato, sempre su Il Riformista, da Fabrizio Cicchitto nel suo articolo “Ho un’idea: fondiamo il partito socialista ! (socialista del terzo tipo)”. Cicchitto precisa in particolare: «Avendo la consapevolezza che stiamo parlando sotto i bombardamenti, chi di noi sopravviverà dovrà fare i conti con le rovine che abbiamo di fronte per costruire una nuova società. Per questo a mio avviso ci vorrebbe un socialismo riformista carico di storia ma capace di liberarsi di tutti i drammatici errori e limiti che lo hanno caratterizzato finora».

Dovremmo avere il coraggio, quindi, di rivedere integralmente i convincimenti che, prima ancora che scoppiasse questa tragica epidemia, avevano prodotto una serie di gravi incongruenze e dovremmo dare origine ad un vero accordo mondiale sulle politiche economiche, sulle politiche commerciali, sulle organizzazioni logistiche, sulla concorrenza. Lo so è utopia pura, mentre l’analogia con l’ibernazione non lo è: per questo ho paura non riparta la macchina.