Difficile, di questi tempi, parlare del mondo che verrà, che non si sa bene quale sarà, questo è vero. Ma siccome oltre le discontinuità ci saranno anche, inevitabilmente, delle continuità, dettate ancora in parte dalla sicura sopravvivenza dell’homo sapiens, per chiamarlo così con un po’ di benevolenza, si può provare a fare qualche ipotesi nel campo della politica e della geopolitica.  Molto dipende da ciò che avverrà in America, dove già qualcosa è accaduto, a conferma del fatto che il richiamo al “socialismo”, come alcuni fra noi pensano, possa ancora brillare in certe congiunture, ma poi viene sopraffatto dalla realtà. Si pensi ai successi di Sanders all’inizio della campagna per le primarie democratiche e al sorpasso di Biden. Nel frattempo, in Europa, scompariva un’altra figura del socialismo laburista, Geremy Corbyn. Qualche volta la realtà stenta a trovarsi d’accordo con se stessa, ma poi, oltre un certo punto, si ravvede.

Il mio non vuol essere, almeno nelle intenzioni, né un discorso banalmente conservatore né un atto di bieco realismo, convinto come sono che perfino la problematica parola “sinistra” possa ancora vivere di una vita autonoma da quella che richiama il “socialismo”, distanziandosi da essa che immaginava un’altra società.  Si prova, così, a capire qualcosa di questo nuovo disordine, da cui pur dovrà nascere un ordine, aggravato dalla vicenda che stiamo vivendo e che mi guardo bene dal nominare, cercando di usare altri criteri di analisi.

E allora, tornando all’America, dove sempre si decide qualcosa del destino del mondo, molto dipende da chi avremo alla sua presidenza. Trump rappresenta un isolazionismo a sfondo populista attraverso il quale ha prodotto una caduta verticale del rapporto dell’America con il mondo come era prima, e soprattutto ha sancito la divisione di quella civiltà che nel suo insieme si chiama “Occidente”. Qui c’è un punto dirimente, che si può addirittura approfondire con gli effetti della pandemia, nel senso di un globalismo dominato da un’Asia cinese-russa. Sarebbe il cambiamento della struttura del mondo conosciuto, con l’effetto di rendere dominanti gli Stati usciti dalla tragica esperienza del comunismo reale e che oggi rappresentano, in forme anche diverse, una nuova forma internazionale di dispotismo.

Se vogliamo utilizzare le parole in modo non proprio consueto, lì si annida la vera destra del mondo globale, nata dalla sinistra quando diventa estrema, e un bel merito di Trump è stato quello di dividere quell’Occidente che, diviso, e in una certa misura perfino al proprio interno contrapposto, non avrà una vera capacità di resistere di fronte alla nuova egemonia che si disegna. Mentre il problema sarà proprio questo. Onde la straordinaria importanza delle elezioni americane. Quale cultura può resistere a questo stato di cose? E dico “cultura” perché al fondo di tutta la questione che ho sollevato sta proprio questa parola, sempre decisiva, anche e forse soprattutto in un mondo globale e tendenzialmente omologante. Dove dominano economicismo e finanze più un dispotismo di tipo nuovo, posato su una immane capacità produttiva e volontà di dominio, con la smentita di quello che fu giudicato, in altri tempi, il rapporto necessario tra democrazia e sviluppo economico.

La parola “sinistra” può diventare ciò che si oppone a un dispotismo che acquista il peso che vediamo, sorretto da una potenziale egemonia globale, e se non serve a questo può anche essere abbandonata. Bisogna mettere in moto nuovi anticorpi, dopo che la pandemia fa avanzare la Cina oltre ogni misura nel mondo: nessun ostracismo a essa, ovviamente, ma misura e cultura nel rapporto necessario. Difese e anticorpi ci sono, ma non fortissimi. Gli sbandamenti, clamorosi e non parlo dei nostri, italiani, su questo tema bisognerà tornare. Società e confini si chiudono, certo sotto i colpi dell’innominabile virus, ma dopo?

Ha ragione Giuliano Cazzola nel contrapporre società chiuse a società aperte, e la parola “sinistra” può ancora poggiarsi su questa opposizione, e su una scelta decisa. Ma la condizione di questa possibilità sta anche nel cambiamento della sua storia originariamente classista, e nella sua capacità di ridar forza politica e sociale a quei processi di costituzionalizzazione sovranazionale e capaci di nuova eguaglianza, oggi come presi nella morsa del populismo anche da noi. La partita è difficile, si deve giocare su molti fronti, ma forse proprio la tragica situazione che ci attende potrà stimolare nuove classi dirigenti dell’Occidente, riunito e rivisitato, a trovare inediti strumenti di governo della vita comune, ridando significato a democrazie che si vanno inaridendo.