Al contrario di quanto stanno facendo altrove alcuni suoi emuli con meno pedigree, nella Russia “faro” dell’autoritarismo sovranista Vladimir Putin per ora non approfitta della pandemia per flettere i muscoli e sbandierare la presunta efficacia della leadership illiberale nelle grandi crisi. Il suo approccio appare “liquido”, o come minimo defilato: rinuncia a governare dal centro, delega le decisioni alle regioni, prende tempo sugli interventi a sostegno dell’economia e si lascia spazio di manovra per agire poi a seconda di come si metteranno le cose. È la tecnica del judoka. Tipico Putin. Intanto, evita di prendersi la colpa dei disastri possibili o probabili.

I malati di Covid-19 nel Paese più grande del mondo sono meno che nel resto d’Europa o negli Usa, ma l’accelerazione è forte: oltre 3.400 nuovi contagi ufficiali, il 15 aprile. In tutto, ci si avvicina a quota 28mila. Più di 230 i morti. Per Mosca, epicentro dell’epidemia, alcuni scienziati prevedono un’esplosione simile a quella avvenuta a New York. Il pass digitale introdotto per chi ha la necessità di muoversi nella capitale in lockdown ha provocato code infernali per i controlli alle stazioni della metropolitana e ai varchi d’accesso alla città: il sistema evidentemente non funziona e crea un ulteriore rischio sanitario. Putin, che inizialmente aveva definito “sotto controllo” la situazione, adesso dice che «sta cambiando in peggio». Ma la responsabilità di prendere le misure di contenimento e di gestire l’emergenza, le ha lasciate al sindaco di Mosca Sergey Sobyanin e al ministro Mikhail Mishustin. E ogni decisione in merito al contrasto dell’epidemia sull’enorme territorio della nazione è in mano soltanto ai governatori regionali.

«Putin è quasi impercettibile nella crisi del coronavirus», secondo la politologa Tatiana Stanovaya, direttrice di R.Politik. Da lui, solo «parole generiche, nessuna valutazione dettagliata, nessun tentativo reale di mobilitare il Paese». Per diverse settimane, «il presidente ha considerato il problema come tecnico, di routine: da delegare ai sottoposti», dice Stanovaya al Riformista. L’analista spiega come nel marzo scorso la leadership russa fosse «irritata dai toni roboanti dei governanti occidentali che paragonavano l’ epidemia a una guerra suscitando “artificiosi allarmismi“». E sottolinea che «Putin non considera questa una sfida politica, quindi non dà risposte politiche».
Influisce il fatto che «l’entourage del presidente tende a dargli notizie positive: quelle ansiogene le si danno il più tardi possibile». Il dramma dell’autocrate nella torre d’avorio.

Ma i motivi della “timidezza” dello zar in questo frangente sono anche altri: «Il presidente non vuole emanare in prima persona provvedimenti duri che lo rendano impopolare, e che possano provocare proteste di piazza», commenta l’analista dell’istituto moscovita Crisisgroup Anna Arutunyan, autrice di The Putin Mystique (Skyscraper, 2014). Mentre sta cambiando la costituzione in senso oltremodo autoritario, in attesa del referendum – rinviato a causa coronavirus – sugli emendamenti che gli permetteranno di rimanere al potere quasi all’infinito, Putin ha «una vera e propria paura» di qualsiasi cosa che possa somigliare a un sommovimento, spiega Arutunyan al Riformista. «La sensibilità del Cremlino nei confronti di possibili proteste è esagerata rispetto alla reale minaccia, e provoca reazioni esagerate». Come quelle dell’estate e dell’autunno scorso, con migliaia di arresti. Di cui poi ai vertici del potere ci si pente, perché incrinano il consenso.

Il gradimento dei russi nei confronti del loro presidente è in calo per il terzo anno consecutivo, secondo un sondaggio appena effettuato dal centro indipendente di indagini sociologiche Levada: Putin è visto con simpatia dal 29% della popolazione, contro il 42% dell’aprile 2017. E solo il 13% lo considera “un vero leader”. Secondo il direttore di Levada, Lev Gudkov, a pesare su questi giudizi è l’irritazione per i legami del capo del Cremlino con i grandi interessi economici. In particolare, non è andata giù la guerra al ribasso dei prezzi petroliferi che Mosca, su input dell’amministratore delegato del colosso energetico Rosneft Igor Sechin, ha ingaggiato con l’Opec proprio durante lo tsunami finanziario legato alla pandemia. Con conseguente crollo del rublo, visto che le entrate statali russe dipendono per quasi la metà dalla vendita di idrocarburi. Le ripercussioni sulla capacità di spesa delle famiglie sono pesanti. «La cosa è stata ampiamente discussa online sui social, e ha colpito fortemente i segmenti più informati della popolazione, soprattutto i giovani», è la lettura di Gudkov.

Che è il maggior sociologo del Paese. E che solo lo scorso dicembre – ma sembra passato un secolo – nella sede di Levada sulla via Nikolskaya, proprio dietro la cittadella del potere, spiegava a chi scrive come «l’apatia e il conformismo passivo» della popolazione fossero il fondamento del regime putiniano, e come lo «scontento diffuso» avrebbe potuto trovare un catalizzatore solo in «un’eventuale crisi mondiale, con un forte calo dei prezzi petroliferi e della capacità di spesa dei cittadini». Perché la Russia e il suo regime «una crisi mondiale forte non la possono reggere». Profetico?

Gli economisti calcolano che il Pil russo si contrarrà di circa il 9%, a causa della pandemia. Anche se i conti pubblici sono molto solidi e le riserve ingenti, i provvedimenti e le iniezioni di denaro a supporto alla popolazione e alle imprese sono per adesso timidi. Molte aziende non hanno soldi per pagare i dipendenti, e stanno licenziando in massa. Come da altre parti del mondo. Ma in Russia la situazione è particolare: Putin ha ordinato un mese di ferie pagate per assicurare il distanziamento sociale, ma gli imprenditori non hanno avuto aiuti governativi per assicurare la continuità salariale. I russi, maestri dell’ironia surreale di fronte alle tragedie, hanno sùbito inventato un barzelletta: “Vladimir Vladimirovich entra in un bar affollato e dice: offro da bere a tutti. Sul conto del bar”.

«Putin non vede la situazione come davvero grave e quindi non incoraggia provvedimenti economici eccezionali», è l’analisi di Tatiana Stanovaya: «È una lacuna classica del Cremlino, quella di sottostimare i rischi». Per la verità, il presidente orami preoccupato lo è, e ha preannunciato interventi più seri. Senza però argomentare. Intanto, è scattata una tassa sui conti in banca superiori ai 12mila euro. Una patrimoniale che in pratica colpisce solo la classe media.

Mica i grandi ricchi protetti dal Cremlino. «Ho una sensazione precisa, fondata su colloqui con esponenti del governo», racconta Anna Arutunyan: «Il denaro c’è ma lo si spenderà solo se le cose finiranno per andare veramente molto male. Putin, contrariamente a quel che molti pensano, odia il rischio e vuole crearsi spazio di manovra. Interventi economici importanti ci saranno solo quando la situazione sarà diventata estrema». Un approccio caratterizzato da cautela, attenzione agli interessi della élite e creazione di spazi di manovra per il futuro. Il rischio è che la lotta al Covid-19 in Russia venga finalizzata più che a proteggere la popolazione a preservare gli ingranaggi di un pluto-regime che – come ha notato lo storico Dmitri Trenin – non si è mai fatto Stato.