Fabrizio Cicchitto immagina la nascita di un partito socialista del terzo tipo, né somigliante a Corbyn, massimalista, in una prima fase almeno anti-europeo, per taluni tratti addirittura antisemita, ma neppure con la natura contraddittoria del Pd, socialista in Europa, democratico in Italia, con una storia comunista e democristiana alle spalle. Vorrei ragionare, dentro i confini previsti, sul socialismo possibile, sul suo significato, sulle possibilità di interpretarlo attraverso un partito nell’attuale scenario politico italiano. E vorrei partire da una assoluta e imprescindibile necessità. Quella di un’azione per rimuoverne la colpevole omissione del contributo dei socialisti nella storia d’Italia, dimenticanza che è diretta conseguenza della cosiddetta rivoluzione, o colpo di Stato, del 1992-94.

Fu in quella circostanza che Massimo D’Alema, il più razionale dei dirigenti comunisti e post-comunisti, ebbe a dichiarare, a proposito del nome originale del suo partito, che in Italia «l’aggettivo socialista era diventato impronunciabile». Dunque, non solo la storia del Psi di Craxi, ma tutta la storia del socialismo italiano da allora venne messa in quarantena, colpevole solo di omonimia, e questo grazie anche all’insipienza dei partiti di governo che nell’ottobre del 1989 avevano approvato una legge in cui si amnistiava il reato di finanziamento illecito ai partiti, salvaguardando il Pci dal grave reato di averli incassati da una potenza nemica, a centinaia di miliardi fino alla fine degli anni Settanta, come scrive Gianni Cervetti nel suo L’oro di Mosca, ma in realtà anche per tutti gli anni Ottanta in direzione di talune sue componenti, come minuziosamente descrive nel suo libro Lo stalinismo nella sinistra italiana, Victor Zaslavsky.

La questione morale, che si è abbattuta sui socialisti, mentre la magistratura non intendeva procedere in tutte le direzioni, praticando una giustizia parziale, che è peggio dell’ingiustizia totale, perché eleva al rango di giudici coloro che dovrebbero stare tra gli imputati, ha inquinato le ragioni della storia finendo per ribaltarla. I calcinacci del muro sono finiti addosso, anche per gli errori compiuti da Craxi e dal Psi, a coloro che quel muro avevano combattuto. Se ascoltiamo i Tg e Rai storia, se leggiamo articoli o saggi o libri, ciò che stupisce è la manipolazione della verità.

La resistenza è stata opera di comunisti e democristiani, la Costituzione è un patto tra De Gasperi e Togliatti, Pertini è stato solo un antifascista, il più amato dagli italiani, Prodi il leader del primo centro sinistra. Perfino Mattarella, nella condivisibile dichiarazione sulla necessità di un governo di unità nazionale come nel 1945 si è lasciato andare in un «Il Pci e la Dc riuscirono a farlo», dimenticando che nel 1946 i socialisti erano più forti dei comunisti. E potremmo continuare.

Nelle sezioni del Pd numerose sono le foto di Berlinguer, a volte di Togliatti, di Nilde Iotti e qua e là anche di Aldo Moro. La storia va riscritta, non può reggere questa mistificazione, questa colpevole e generale dimenticanza, questo assurdo e pantagruelico carnevale di distorsioni. La natura centaura del Pd ne è la chiave interpretativa. La sua identità è la fedele rappresentazione d’un teatro dell’assurdo alla Samuel Beckett. E la prima operazione che deve essere messa in campo per recuperare il valore del socialismo italiano è proprio questa. Di fare verità nella storia e chiarezza nella politica.

Di quale socialismo parliamo, poi, visto che ce ne sono stati tanti e non tutti utili e produttivi? A mio avviso dell’unica versione di socialismo, quella riformista e liberale, che grazie a questi due aggettivi può rendere ancora onore e dare salvezza al sostantivo. Oggi è possibile dunque, con un’operazione culturale e storica, rilanciare anche politicamente una versione italiana di socialismo riformista e liberale? A mio avviso dipende dall’evoluzione del sistema politico. Il dopo virus si annuncia come una sorta di dopoguerra, dove all’unità auspicabile delle forze politiche si dovrà abbinare una nuova qualità della classe dirigente.

È possibile che il sistema frutto della rivoluzione giudiziaria, basato sulla scomparsa dei partiti politici identitari sostituiti da nuovi soggetti senza storia e pensiero possa saltare? In fondo, un bilancio su questi 26 anni è sotto i nostri occhi e così la progressiva rivalutazione del passato. Che è passato solo in Italia perché in tutta Europa le forze tradizionali, fondate sull’identità politica, continuano a reggere. E certo, sarebbe facile a quel punto quando riemergessero soggetti popolari e liberali, perché no anche comunisti, lanciare un nuovo soggetto socialista. Se invece, malauguratamente, il sistema post- e anti-identitario dovesse reggere, la nascita o lo sviluppo di un’unica forza identitaria sarebbe invero problematica.

Resterebbero però sullo sfondo tutti i problemi di una difficile ricostruzione. Le disuguaglianze, innanzitutto, tra chi uscirà povero e forse senza lavoro e chi avrà saputo reggere, i problemi della sanità, della ricerca e della scuola che in Italia vanno poste al centro di una grande strategia di potenziamento e rinnovamento, la necessità di un piano per la green economy perché ambiente e salute vanno di pari passo, i rapporti con un’Europa che o diventa Stato federale o perde la sua ragione di esistenza, una grande riforma costituzionale ed istituzionale che riequilibri e razionalizzi i poteri. Per questo c’è bisogno ad un tempo di competenza, di esperienza, di progetto. Una forza socialista, riformista, liberale saprebbe dove mettere le mani per risolvere questi grandi problemi. I partiti di oggi con le classi dirigenti di oggi non saprei…