Quanto c’entrano gli americani con l’operazione Mani pulite? “Mani Pulite”, giova ricordare, è la traduzione pura e semplice di “Clean Hands”, nome di un’operazione americana da lungo tempo attiva per combattere criminalità e malaffare. In Italia con la partecipazione di giudici italiani e americani, tra cui lo stesso Giovanni Falcone e Rudolph Giuliani all’epoca eccellente Procuratore, prima di diventare sindaco di New York durante l’attacco alle Torri Gemelle e poi avvocato del presidente Trump.

È totalmente inaccettabile l’idea che un evento del tutto casuale come il denaro trovato addosso a uno sconosciuto Mario Chiesa potesse essere la prima e unica esca affinché si accendesse il grande incendio dell’inchiesta che decapitò la Repubblica. Ho partecipato anche ieri a un talk show mattutino con vecchi cronisti che come me vissero le ore di Di Pietro al palazzo di giustizia di Milano come una seconda vita e proprio perché l’ho fatto e conservo ancora i quaderni scritti a mano con tutti gli appunti di quei giorni posso dire con certezza che quell’operazione fu voluta, fu fatta con determinazione secondo un piano, ebbe gli effetti desiderati che furono la decapitazione di una democrazia in vista di una sostituzione dell’intera classe dirigente con un’altra classe dirigente selezionata direttamente fra i quadri del vecchio partito comunista italiano costretto fino alla fine dell’impero sovietico a non poter entrare nei governi di maggioranza ma che era stato valutato con grande interesse dagli americani non soltanto democratici, se solo si ricorda quanto Henry Kissinger fosse diventato amico di Giorgio Napolitano e non soltanto perché fosse l’unico comunista che parlasse un buon inglese.

Gli americani hanno sempre chiarito il punto di vista: a noi non importa nulla di quale sia la politica di un governo alleato, vogliamo soltanto essere sicuri che i suoi ministri non vadano a spifferare tutto al nemico. Quindi non vogliamo comunisti nel governo italiano perché altrimenti dovremmo sospendere il flusso di informazioni a quel governo, come effettivamente fecero con il Portogallo dopo l’ingresso dei comunisti dopo la rivoluzione dei garofani. Contrariamente alla vulgata comunista secondo cui gli americani intendevano favorire governi di destra, liberticidio e nemici della classe operaia, gli americani erano al contrario favorevoli a governi progressisti, moderni, interclassista e per loro naturale tendenza sono sempre stati contrari a tutti i tipi di neofascismo e di conservatorismo: al Dipartimento di Stato la linea è sempre stata una sola per l’Italia: isolare i comunisti finché sono legati a filo doppio con Mosca e praticare una politica riformatrice e prepararsi ad accogliere un Pci totalmente autonomo che aspettiamo anche nella Nato. Non fu per caso che Enrico Berlinguer dichiarasse a Giampaolo Pansa sul Corriere della Sera che lui poteva sentirsi al sicuro soltanto sotto l’ombrello della Nato ma poi quando si trattava di schierarsi di fronte alla questione degli euromissili seguiva il gioco della grande potenza sovietica amica.

Fino al 1989 la guerra fredda fu una cosa reale ma già sgonfiata dalle sue asperità. Si era già formata nel Partito comunista italiano un’ala fortemente filoamericana e antisovietica. L’ambasciata di via Veneto era diventato un oggetto del desiderio di molti comunisti e fra loro e il gruppo di Armando Cossutta rimasto sempre fedelissimo al Cremlino cominciò una sorda guerra che raggiunse il suo acme quando anche in Italia fu pubblicato il libro Dossier Mitrokhin che provocò molta agitazione all’interno della sinistra italiana, ma questa è una storia che cominciò sei o sette anni dopo l’inchiesta Mani pulite. L’inchiesta si scatenò soltanto sui partiti non comunisti ovvero su quelli che avevano sempre governato la Repubblica dal 1948 e senza ipotizzare che ci fosse una reale etero direzione da parte degli americani, certamente dal Dipartimento di Stato e da quello della giustizia da Washington arrivarono soltanto grandi segnali di solidarietà e incoraggiamenti a proseguire su quella strada.

Qual era stato l’evento che aveva determinato la riesumazione di quanto, già noto almeno da 12 anni, era stato insabbiato? La logica suggerisce solo un punto: fine dei contributi annui del partito comunista dell’Unione Sovietica al partito comunista italiano. Quei miliardi versati nel corso degli anni avevano corrotto la politica interna italiana fornendo al partito comunista molti più mezzi di quanti potesse produrne e avevano offerto un gigantesco alibi a tutti gli altri partiti e politici per dire se lo fanno loro, noi non saremo da meno. Ma il rubinetto si era chiuso, il partito comunista dovete in fretta e furia cambiare nome, vendere la casa troppo prestigiosa per rifugiarsi in un locale al piano terra meno sfarzoso, per forza di cose il Pci ormai Pds non era più un’appendice dello Stato russo anche perché l’Unione Sovietica scompariva suddividendosi in tronconi, gli stessi che oggi vediamo minacciarsi tra loro di guerra appunto.

A dirla in breve, il gruppo di intellettuali e di funzionari del dipartimento di Stato dell’ “Italian Desk” videro che era arrivata l’occasione per fare piazza pulita di tutti quei democristiani, socialisti socialdemocratici e repubblicani e sostituirli con gente nuova. Il partito di Achille Occhetto, appunto. Nel frattempo, la magistratura aveva scoperto di possedere una forza invincibile e di poter godere se necessario di una impunità intimidatoria: aveva scoperto anche di poter sfidare il Parlamento e sostituirsi ad esso, leggendo un comunicato eversivo in televisione, equivalente a un colpo di Stato. Il Parlamento era umiliato. Craxi rifugiato come un malfattore sulle coste africane. Il democristiano Arnoldo Forlani umiliato in un processo e quanto a Giulio Andreotti – violentemente antiamericano – gli furono gettati di traverso alcuni cadaveri sul cammino (fra cui quello di Ambrosoli e Lima) e la sua carriera fu stroncata insieme all’ambizione di salire al Quirinale.

La stessa mafia che mai e poi mai si era permessa di varcare a mano armata i confini siciliani aveva fatto bravate incomprensibili come le operazioni a via dei Georgofili o a San Giovanni o nei pressi del teatro Parioli di Maurizio Costanzo, seguendo un copione mai sperimentato prima. Gli stessi omicidi di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino si erano svolti secondo modalità totalmente estranee alle tradizioni della mafia di cui la giustizia non ha ancora trovato il bandolo. Ad Achille Occhetto che parlava metaforicamente di una sua «gioiosa macchina da guerra» tutti i giochi sembravano fatti: la vecchia politica era ridotta a poco meno di quaranta ladroni ed era arrivata l’ora del sangue nuovo.

Fu allora che l’imprenditore Silvio Berlusconi decise di compiere un’azione sconsiderata e meticolosa al tempo stesso radunando forze fra di loro ostili come il partito neofascista di Gianfranco Fini e la Lega Nord federalista di Umberto Bossi e vinse. Andò al governo ma un avviso di garanzia pubblicato sul Corriere gli stroncò subito le gambe e quasi sessanta processi piombarono su di lui come avvoltoi. Una legge retroattiva lo mise fuori dal Senato e un’orda di populisti analfabeti come nella notte dei morti viventi, cominciò a sciamare per le strade e nel Parlamento portando l’Italia al disastro da cui un Commissario benevolente mandato dall’Europa cerca di tirarla fuori dal baratro. Così è finita la grandiosa operazione Mani Pulite che dir si voglia, di cui alcuni dettagli potrete trovare nel libro “The Italian Guillotine” di Stanton H. Burnett e Luca Mantovani, libro proibito per eccellenza, resta da acquistare una sola copia in magazzino.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.