Quando venerdì a Bruxelles le hanno chiesto se condividesse le espressioni di augurio che Viktor Orbàn aveva inviato a Putin per la sua rielezione, ha risposto: “No, non condivido la lettera di auguri inviati dal primo ministro ungherese Viktor Orbàn al rieletto Presidente russo Vladimir Putin”.
È la prima volta che Giorgia Meloni esprime pubblicamente il suo dissenso dalle posizioni del premier ungherese Orbàn. E, per la proprietà transitiva, si può anche affermare che la Presidente Meloni ha pubblicamente espresso il suo dissenso secco anche da Matteo Salvini, dal momento che il capo della Lega si era precipitato a chiamare Putin per congratularsi, e poi sentenziare: “Il popolo si è espresso col voto e il popolo che vota ha sempre ragione”.

Non risulta che in seguito Salvini abbia ritenuto ridurre, almeno con l’uso di qualche condizionale, la sua gioia, da quando è apparsa evidente la natura truffaldina delle elezioni sul territorio russo, man mano che è stata documentata e messa in rete da osservatori indipendenti russi che si sono serviti della rete di comunicazione a lungo preparata da Navalny prima di morire. I dati raccolti permettono di dubitare ampiamente dell’esito delle elezioni, cosa che è stata registrata dalla stampa internazionale. Un legame spezzato quello di Giorgia Meloni e Viktor? Probabilmente no, perché poche settimane fa Orbàn aveva reso un apprezzato favore a Giorgia Meloni, sottolineato più dalla stampa americana che da quella italiana.

Meloni, Orban e la Svezia nella Nato

Ed è stato quando Giorgia è andata a Budapest per convincere Viktor a concedere il suo voto all’ingresso della Svezia nella Nato. Un gesto che ha mandato in bestia Putin, perché il premier ungherese, in questo molto simile a quello turco Erdogan, spariglia continuamente: è nella Nato e nell’Unione Europea, ma poi fa affari e scambi a armi con chi gli offre di più, non necessariamente denaro, ma potere d’intervento. Inoltre, da quando il candidato alla Casa Bianca ed ex Presidente Donald Trump ha pronunciato la famosa frase in cui avvertiva che con lui la Nato avrebbe cessato di esistere e che Putin avrebbe potuto fare degli europei “quel che c…. volesse” è cresciuta la febbre dei mediatori interessati, come Orbàn ed Erdogan. Probabilmente assisteremo a un surriscaldamento di iniziative individuali come quella di Emmanuel Macron che ha annunciato l’ipotesi di spedire in Ucraina un contingente di duemila soldati.

Perché Orban è amico di Putin?

Orbàn è intanto sostenuto da Trump il quale lo apprezza proprio per saper praticare una politica sul filo del rasoio. Orbàn e Trump sono in questo momento perché questo fa il suo gioco nel sostenere che l’Europa è ed è sempre stata una causa persa e sanguinosa: “Nel 1917 siamo andati sia a salvarli che a riempire i loro cimiteri vincendo la Prima guerra Mondiale, e poi li abbiamo salvati dagli stessi tedeschi che stanno tentando di fregarci di nuovo evadendo le spese militari”. È difficile comprendere come sia possibile che un ungherese, benché nato sette anni dopo la disperata rivoluzione antirussa del 1956 e dopo aver vissuto le angherie sovietiche succedute alla sanguinosa repressione dell’Armata Rossa con i carri T34 che sparavano a zero contro gli operai e gli studenti di Budapest, essere il capo di un governo di estrema destra, razzista e più amico dei russi guidati da un tenente colonnello del KGB, che degli europei d’Occidente? Forse perché è uno slavo levantino? No, perché gli ungheresi non sono né slavi né levantini, ma semmai gli intrepidi ribelli della via Pál.

Eppure, quest’uomo pesante ma gagliardo, quando cadde il comunismo in Ungheria, era uno studente con i capelli lunghi e la barba da rivoluzionario mentre si batteva sulle barricate per la rinascita liberale dell’Ungheria. Conquistato il potere con un’oratoria affascinante ha trovato naturale e facile far crescere il consenso con l’uso sia della censura che della polizia, senza mai varcare i limiti minimi di una democrazia. Il gioco è diventato ancora più interessante giocando su tre tavoli: quello europeo, il russo e il turco, ma con orecchie aperte all’Iran, e alla Cina. Venerdì nel palazzo dell’Europa, Viktor Orbàn appariva ancor più filorusso del solito, quando ha detto a un giornalista: “A Bruxelles c’è un’atmosfera di guerra, un linguaggio di guerra e una logica di guerra. Ora siamo a un punto in cui i Paesi della Nato vengono sollecitati a intervenire militarmente nella guerra russo-ucraina. E se un Paese entrasse in un conflitto armato con la Russia, potrebbe minacciare una guerra mondiale”.

Orbàn è molte cose insieme: autoritario, egocentrico, con vocazioni dittatoriali e ultranazionalista. Di se stesso ha detto di essere stato un adolescente discolo se non delinquente, di aver fatto la fame finché suo padre non riuscì a laurearsi e trovare un posto decente nel partito comunista, prono all’occupazione russa che si protrasse fino ai primi anni Novanta e poi restò acquartierata sotto le nuove insegne della Federazione, ma la presenza russa non è mai diminuita ma anzi è cresciuta nella sua influenza su Budapest.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.