Salvare il Veneto e le sue truppe. Oggi sono 144 comuni a guida leghista con circa mille amministratori e sono 309 quelli che andranno al voto a giugno (su un totale di 560). Il nemico è in casa, nella coalizione di maggioranza, e si chiama Fratelli d’Italia. Il “piano” dell’alleato-avversario è semplice: l’8 e il 9 giugno i Fratelli d’Italia cercheranno di vincere il più alto numero di comuni scippandoli agli “alleati” leghisti. Il “metodo” è noto: nei 24 comuni sopra i 15 mila abitanti, dove c’è il ballottaggio e quindi si formeranno le coalizioni, il candidato sindaco sarà in quota Meloni. Negli altri vincerà il più forte. Così ha deciso la premier perché comincia con le amministrative di giugno la lunga marcia che porterà nel 2025 alla conquista della prima regione del nord da parte di Fratelli d’Italia. “È un nostro diritto, in termini di consensi pesiamo tre volte Forza Italia e Lega e non governiamo in nessuna regione del nord”, ripetono i dirigenti del partito.

La Lega non ci sta. E ha capito benissimo che la sostituzione del ceto politico dominante in Veneto inizia proprio con queste amministrative. Da qui la necessità di elaborare un piano di difesa e contrattacco su cui i fedelissimi di Salvini, a cominciare dal segretario in Veneto e deputato Alberto Stefani, ragionano da un po’ e che ieri sera è stato veicolato anche nel Consiglio federale riunito in via Bellerio. Non è un caso che nel decreto elezioni approvato giusto ieri alla Camera Stefani abbia tentato di far passare l’abolizione del ballottaggio nei comuni sopra i 15 mila abitanti. Tentativo respinto. Come quello relativo al superamento del terzo mandato. È passato invece il tetto ai mandati nei comuni sotto i 15 mila abitanti.

Il Veneto è la linea del Piave che Salvini non può perdere. La strategia suggerita proprio da Stefani prevede la messa in campo di liste autonome che hanno come candidati gli amministratori attuali e che potrebbero essere costretti a lasciare il posto alle pretese dei Fratelli. Un esercito di “civiche” su cui far convergere la base leghista dei comuni veneti che non hanno alcuna intenzione di cedere lo scettro del comando ai “foresti” meloniani. Un “esercito” in grado di preservare il consenso anche in vista delle regionali. Che sembrano lontane ma non lo sono affatto.

Meloni ha parlato chiaro: “Non governiamo in nessuna regione del nord, il Piemonte è (e sono convinti che resti nel voto di giugno, al moderato azzurro Alberto Cirio, ndr) di Forza Italia, la Lombardia della Lega, il Veneto tocca a noi. È una questione di giustizia politica”. Anche Salvini ha parlato chiaro: “Non esiste, il Veneto è e resterà della Lega”. Se è vero che Umberto Bossi depositò simbolo e statuto presso un notaio di Varese il 12 aprile 1984, non c’è dubbio che sono in Veneto le radici più profonde del movimento politico. Il leader della Lega vorrebbe Luca Zaia impegnato in Europa pur di non averlo libero e disponibile magari proprio per guidare il partito. L’interessato ha risposto “no grazie”. E se il governo non s’inventa qualcosa per ricandidarlo, è chiaro che Zaia farà la propria lista. Ricandidando se stesso – le interpretazioni giuridiche qui divergono – o altri. Tanto vale assecondarlo e aiutarlo con le candidaturecivetta finalizzate a non disperdere il patrimonio di consenso che c’è in Veneto.

La partita inizia adesso, alle amministrative di giugno. Con quella strategia a tre punte che potrà essere riprodotta anche alle regionali: liste della Lega di via Bellerio, le liste riconducibili a Zaia e tante micro-liste identitarie affidate agli amministratori sul territorio. Salvini sta giocando almeno quattro partite. Tutte insieme: la difesa della propria leadership; del patrimonio di consenso della Lega; del suo progetto di partito nazionale. La quarta partita passa dall’Europa e l’obiettivo si chiama Ursula von der Leyen con cui Meloni ha stretto un patto di ferro per guidare insieme l’Europa. L’attività di ministro delle Infrastrutture le intreccia tutte, si dà un gran da fare (“mi impegna al 99%”) anche se i risultati chiedono tempo.

Intanto ieri Salvini ha approfittato dell’assenza della premier (“su noi due ricostruzioni fantasy, l’ho abbracciata perché è amica oltre che premier”) e ha fatto una bella conferenza stampa a palazzo Chigi in cui ha spiegato il nuovo Contratto di programma Anas, 44 miliardi di euro tra il 2021 e il 2025 di cui 37 di nuove opere. Non sfuggirà che siamo già a marzo 2024. Se ieri il vicepremier era impegnato sul fronte interno, domani sarà protagonista su quello europeo. Identità e democrazia, la famiglia politica di Salvini in Europa insieme con Lepen, Afd, Chega e le altre sigle nazionaliste, ha organizzato un evento agli Studios di via Tiburtina 521. È la convention gemella a quella organizzata a Firenze prima di Natale. Si chiamerà “Winds of Change” (Le ali del cambiamento) e, assicurano gli organizzatori, c’è il tutto esaurito. Sul banco degli imputati le politiche di Ursula von der Leyen, la grande alleata di Giorgia Meloni. Interessante vedere quanti big leghisti saranno presenti. Zaia ad esempio non ci sarà.

Avatar photo

Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.