Se si vuol fare piena luce sulla morte del 38enne georgiano Vakhtang Enukidze, avvenuta nel Centro per i rimpatri di Gradisca d’Isonzo lo scorso 18 gennaio, bisogna fare presto. C’è il pericolo che spariscano testimoni importanti per l’inchiesta che la procura di Gorizia ha aperto contro ignoti per omicidio volontario. A lanciare l’allarme è Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Asgi (l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) che da subito si è mobilitato per chiedere chiarezza sulla vicenda. La versione circolata nelle prime ore riconduceva la morte di Enukidze alle lesioni riportate pochi giorni prima, in una rissa con un altro ospite della struttura.

Questa ricostruzione però sarebbe stata smentita dai reclusi che hanno assistito alla colluttazione e che avrebbero invece puntato il dito sull’operato degli agenti intervenuti per sedarla, come ha raccontato ieri sul Riformista il deputato radicale Riccardo Magi, che è potuto entrare nel centro per raccogliere voci e informazioni sull’accaduto. «Non possiamo nascondere che ci siano accuse alla polizia mosse da diversi migranti non collegati tra loro, all’interno del Cpr ma anche non più presenti nel centro e quindi senza alcun interesse a entrare nella vicenda.

Queste testimonianze devono essere vagliate con la massima serietà, ma il presupposto è che le persone ci siano», spiega Schiavone al Riformista. «Parliamo di un centro per rimpatri dal quale le persone possono essere mandate via. Quindi può succedere per caso, o non per caso – in modo forzato – che nell’ambito di una regolare procedura di rimpatrio si verifichi una sparizione dei testimoni». Di un rimpatrio già avvenuto e di altri imminenti aveva parlato anche Magi nel resoconto della sua visita ispettiva.

Secondo Gianfranco Schiavone, per la raccolta delle testimonianze «non ci si può affidare alla stesura del verbale di sommarie informazioni raccolte dalla polizia all’interno del Cpr», perché «ci sarebbe il rischio di intimidazioni o di pressioni fortissime» nei riguardi dei migranti. «La Procura dovrebbe valutare quali siano i testimoni più attendibili e solo per questi – dice Schiavone – si potrebbe considerare il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia, così da farli uscire dal Cpr. Se scappano vuol dire che la loro testimonianza non è attendibile», continua, «ma prolungare il trattenimento nel centro per raccogliere le testimonianze, magari in caso di una data per il rimpatrio già fissata, rischia di essere punitivo.

Le condizioni di vita nel Cpr sono di forte disagio». E poi, osserva il vicepresidente dell’Asgi parlando con il Riformista, «il contesto non è neutrale. Nel Cpr sono presenti tutte le forze di polizia e qualsiasi operatore delle forze dell’ordine non sarebbe percepito dai reclusi come neutrale, anche se incaricato dalla Procura. Per questo le persone informate dei fatti dovrebbero essere ascoltate fuori dal Cpr e a loro dovrebbero essere assicurate le maggiori garanzie possibili perché non siano oggetto di ritorsioni. Quasi nessuno di loro conosce l’ordinamento giudiziario italiano e provengono da Paesi non democratici, dove la distinzione tra polizia e giudici è molto labile», sottolinea.