Matteo Salvini ha presentato una memoria difensiva al Senato per chiedere che non sia concessa l’autorizzazione alla magistratura per processarlo. Speriamo gli diano retta. In questa memoria si sostengono tre cose.

La prima è che l’arrivo dei migranti e dei naufraghi costituisce un pericolo per la sicurezza nazionale. E per dimostrarlo si citano ponderose relazioni degli esperti del ministero che sostengono questa tesi. La seconda è che durante la crisi della Gregoretti tutto il governo era sulla linea del blocco allo sbarco, in modo compatto, e in particolare lo erano il presidente del Consiglio e il vicepresidente del Consiglio e il ministro degli Esteri e quello della Giustizia. E per dimostrarlo si esibiscono sette mail di palazzo Chigi e della Farnesina. La terza è che la linea politica che ha ispirato il blocco era scritta a chiare lettere nel programma di governo – il cosiddetto contratto – firmato dalla Lega e dai 5 Stelle.

Tutto ciò cosa vuol dire? Semplicemente – dice Salvini – che le sue decisioni erano ispirate da scelte politiche condivise dalla maggioranza del Parlamento e che avevano lo scopo di difendere un interesse nazionale. Se il Parlamento dovesse accettare questa idea, dovrebbe, a norma di legge, negare ai giudici l’autorizzazione a processare Salvini per il reato, gravissimo, di sequestro di persona, che potrebbe costare fino a 15 anni di carcere e cioè potrebbe mettere fuorigioco il più prestigioso leader politico della destra italiana (o forse europea) e il personaggio politico più popolare nel Paese. Una bomba atomica.

Sono giuste le tre osservazioni presentate da Salvini al Senato? Francamente considero inconsistente e propagandistica la prima osservazione, se presa a sé. Che quei 131 poveretti che stavano a bordo della Gregoretti fossero degli invasori e costituissero un pericolo per la nostra sicurezza, francamente è una tesi poco, molto poco credibile. Ma non mi pare che il Senato sia chiamato a decidere fino a che punto una posizione politica è davvero buona politica e da che momento in poi diventa invece pura propaganda. Né immagino che sia una valutazione che spetta alla magistratura.

La differenza tra propaganda e “politica seria” può essere valutata dagli elettori, o dagli opinionisti, o da chiunque voglia, ma questa valutazione può tradursi in giudizi, invettive, articoli di giornale o voti alle urne: non in sentenze.

La cosa diventa ancora più evidente sulla base della seconda e della terza osservazione di Salvini. Che, a differenza della prima, sono tutte e due assolutamente incontestabili. Il governo era compatto sulla linea del respingimento, e del resto quella linea era stata solennemente assunta come linea del governo al momento della stesura del programma e oltretutto continuamente ribadita dai due partiti della maggioranza, in modo univoco (chi non ricorda le polemiche di Di Maio e dei suoi giornali contro i taxi del mare e contro le Ong che effettuano opera di soccorso?).

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.