Da tempo, da molto tempo, circola un virus che tentiamo di debellare in molti, ma non in abbastanza; il malanno si chiama giustizialismo, ovvero la trasformazione dell’idea di giustizia, ciò che ci rende tutti uguali di fronte alla norma, in un’ideologia della giustizia, cioè nella sua trasformazione in un’arma di azione politica. A maggior ragione tale virulento malanno fa più paura quando rischia di orientare le scelte dei partiti della sinistra, se nessuno si offende ad usare ancora questo termine. Per questo da sempre, personalmente, tento di allontanare da me ogni eventuale istinto di scorciatoia giustizialista nella battaglia politica diretta a contrastare le idee di chi considero avversario; oggi Salvini ieri Berlusconi. Per questo non abbiamo affatto abbandonato il campo dalla battaglia circa la riforma della prescrizione ove non accompagnata da un’adeguata riforma del processo penale, per ottenere una sua ragionevole durata. L’idea sovranista oggi, quella iperliberista ieri, vanno politicamente combattute con altre idee, quelle di una sinistra riformista capace di trasformare la società verso il futuro, combattendo le diseguaglianze, promuovendo lo sviluppo con lo sguardo rivolto in avanti e non indietro.

Ecco, questo dovrebbe essere il nostro campo di azione per riconquistare consenso e sopravanzare quello di Salvini, ma, caro Direttore, non è questa la domanda che si discute al Senato. Per questo non condivido la tua lettera di ieri a Renzi. Non ci sarà infatti, come nel caso dei semplici deputati per cui viene richiesta l’autorizzazione all’arresto, la valutazione del possibile fumus persecutionis, e neppure la discussione sulla colpevolezza o innocenza di Salvini. E neanche c’entra che la procura fosse per l’archiviazione e sia stata poi smentita dal tribunale dei Ministri. Svolgono due compiti diversi. La prima valuta l’esistenza di un’ipotesi di reato, la seconda di una condotta esorbitante l’interesse pubblico o costituzionalmente rilevante.

Ci facilitano il percorso, la lettura dell’articolo 96 della Costituzione e la legge costituzionale 1/1989 che prevedono che nel caso dei cosiddetti “reati ministeriali” il Parlamento eviti il processo a un ministro votando a scrutinio palese a maggioranza assoluta «ove reputi…che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo». La domanda precisa è: ma secondo voi Salvini ha agito, secondo un’effettiva ragion di Stato?

Fermo restando, ovviamente, che il ricorso alla ragion di Stato ha anch’esso dei limiti di ragionevolezza e proporzionalità, a cominciare dal rispetto del diritto alla vita delle persone. A questo serve aggiungere che nel caso in questione Salvini non agì seguendo una norma dell’ordinamento, giacché le norme da lui stesso prodotte nel cosiddetto Decreto Salvini Bis, non obbligano le navi militari.