Cpr di Gradisca
Migrante muore nel centro rimpatrio: “È stato ucciso di botte dalle guardie”
Quando domenica notte, intorno alle 22.30, sono entrato nel Cpr di Gradisca d’Isonzo mi ha accolto la polizia in tenuta antisommossa: casco in testa e manganello in pugno. Le urla di alcuni ospiti superavano l’alto muro di recinzione.
All’interno della struttura la tensione si poteva tagliare con il coltello, proprio come la nebbia all’esterno. Gli agenti parlavano tra loro di molto sangue in giro dovuto ai tagli che si era provocato qualcuno. Era terminata da poco un’operazione di “bonifica”, con gli agenti impegnati a sottrarre il cellulare agli ospiti della “zona verde”: la sezione dove era rinchiuso anche Vakhtang Enukidze, georgiano di 38 anni.
Chi si trova in un Cpr non è un detenuto, pertanto ha il diritto di tenere con sé un telefonino, tuttavia la prassi – chissà perché – vuole che venga spaccata la fotocamera degli apparecchi per impedire alle persone di usarli per fare foto o video. Quando, dunque, dopo la morte dell’ospite georgiano si è diffusa la notizia dell’esistenza di un video girato all’interno del centro e poi trapelato all’esterno, si è resa necessaria una bonifica della sezione. Il sequestro dei telefoni, unico contatto con l’esterno per molti ha accresciuto la disperazione.
Le circostanze che il 18 gennaio hanno portato alla morte di Enukidze, trasferito a Gradisca dal Cpr di Bari solo un mese prima, sono tutte da chiarire. In un primo momento le cronache l’hanno ricondotta alle conseguenze di una colluttazione con un altro giovanissimo ospite del centro avvenuta pochi giorni prima, il 14, poi sedata dall’intervento massiccio della polizia. Una versione che in tanti non hanno ritenuto convincente, puntando il dito proprio sull’operato degli agenti.
Così ho accolto l’invito dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione a recarmi a Gradisca per effettuare una visita ispettiva al centro.
Non solo gli ospiti della struttura con cui ho parlato domenica notte – quando a bonifica conclusa ho potuto incontrarli – ma anche dipendenti della cooperativa che la gestisce e uno dei poliziotti presenti, hanno escluso che la colluttazione con l’altro recluso potesse aver provocato lesioni tali da causare la morte dell’uomo. Una convinzione che mi è stata ribadita ieri mattina quando, durante una seconda visita, in diversi, nella “zona verde”, mi hanno descritto quell’episodio con dovizia di particolari, fornendo tutti la stessa versione.
Il 14 gennaio scorso – hanno raccontato – Vakhtang Enukidze, che in molti descrivono come una persona piuttosto agitata, aveva aggredito e malmenato un giovane uomo di origini marocchine. Ma nella rissa sarebbe stato lui ad avere la meglio sull’altro, fino a che non era intervenuta la polizia: «una decina di agenti» avrebbero placcato il georgiano, «immobilizzato e colpito ripetutamente e poi trascinato via per i piedi».
«Magari morirò anch’io», mi ha detto uno di loro, «ma voglio dire la verità».
Dopo un giorno e mezzo, che, secondo le ricostruzioni, avrebbe trascorso in carcere, Vakhtang Enukidze era stato ricondotto nel Cpr ma stavolta nella “zona rossa”. Qui, dalle testimonianze che ho potuto raccogliere, avrebbe vissuto la sua agonia. Piegato su se stesso con contusioni su tutto il corpo e sul viso. Così lo descrive chi ha trascorso in stanza con lui l’ultima notte: «non riusciva a stare in piedi, poi non riusciva più nemmeno a parlare, ha iniziato ad avere la bava alla bocca e durante la notte è caduto dal letto». La mattina, riferiscono i compagni di stanza, in stato di incoscienza è stato portato via in ambulanza, ma in ospedale è giunto già cadavere.
Ovviamente questa ricostruzione, estremamente grave dei fatti, è tutta da verificare. Per questo appena uscito dal Cpr sono andato in Procura per riportare ai magistrati – che stanno indagando per omicidio volontario a carico di ignoti – le informazioni e le testimonianze che ho raccolto; inclusa la telefonata – che ho potuto ascoltare e che è stata registrata – di un kosovaro rimpatriato da Gradisca subito dopo la morte di Enukidze nella quale ha raccontato l’accaduto al suo avvocato. Da quanto ho potuto apprendere, nei prossimi giorni sarebbe previsto il rimpatrio anche di altri ospiti del centro.
L’imponente apparato di sorveglianza del Cpr (inaugurato solo il 16 dicembre) con l’occhio di circa duecento telecamere puntate sui locali della struttura, potrà forse aiutare a fare luce su un episodio dai contorni oscuri. La permanenza di qualsiasi ombra di sospetto su questa morte non sarebbe tollerabile in uno Stato di diritto.
A proposito, se c’è una cosa su cui non occorre fare chiarezza, perché emerge in maniera lampante a chiunque abbia l’occasione di mettervi piede, è che in questi centri per migranti lo straniero è proprio lo Stato di diritto. Una realtà a cui non sfugge neppure una struttura nuova come quella di Gradisca, dove una sessantina di persone vivono praticamente chiuse in gabbia, come in uno zoo, senza occasioni di socialità, storditi da calmanti e psicofarmaci: in stanze gelide prive di porta, che affacciano su corridoio delimitato da sbarre e da pannelli di plexiglass che dovrebbero essere infrangibili, e che invece i migranti riescono a rompere per ricavarne le schegge con cui si feriscono. Deliberatamente. Gli atti di autolesionismo non si contano, tutti i reclusi ne portano addosso segni. E come potrebbe essere altrimenti in un luogo senza tempo, senza orizzonte, dove il diritto è sospeso e si sconta una pena senza colpa di cui non si conosce il termine. C’è chi viene portato lì dopo essere stato in carcere; chi in carcere non c’è mai stato e aveva un lavoro, ma poi l’ha perso e con esso anche il diritto di stare sul territorio italiano e ora aspetta di essere rimpatriato. C’è chi nel nostro Paese ha trascorso molti anni e chi qui ha anche la famiglia.
I Cpr non sono carceri. Sono peggio. E non dovrebbero esistere. Fino a pochi anni fa, tra le forze politiche, quasi tutti erano giunti alla conclusione che andassero chiusi. Abbiamo ascoltato prefetti e politici di primo piano sostenerlo. E invece. Invece siamo tornati indietro. Oggi a meno di due mesi dal Cpr di Gradisca ha aperto il nuovo Cpr di Macomer.
*Deputato Radicali +Europa
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