La morte di Eugenio Fasano, il maresciallo dei carabinieri di 43 anni che il 22 gennaio del 2019, due giorni dopo una partita di calcetto che si è tenuta a pochi metri dal comando generale dell’Arma ai Parioli, rimane ancora avvolta nel mistero.

Gli inquirenti sono al lavoro per comprendere cosa sia successo quel pomeriggio di due anni fa, quando Fasano sarebbe morto ufficialmente per infarto. La Procura ora indaga per omicidio colposo, dalla richiesta dei familiari di riaprire il caso, inizialmente archiviato.

Gli investigatori cercano di chiudere il cerchio su quanto è accaduto in 45 minuti, tempo che è intercorso tra la fine della partita di calcetto e l’intervento del primo medico e dei sanitari del 118. Secondo quanto riportato da Repubblica, si tratterebbero di trentacinque minuti, che sono trascorsi tra la fine della partita di calcetto e l’intervento del primo medico, arrivata in fretta e furia all’Antico Tiro a Volo dal comando generale. A cui vanno sommati altri dieci minuti per l’arrivo dell’ambulanza.

Troppi gli elementi che non tornano e alimentano i dubbi della famiglia, che chiede ai colleghi, presenti alla partita, di raccontare cosa sia successo. Perché prevale il dubbio sul motivo per cui il maresciallo avesse diverse costole fratturate, un’arteria rotta, un polmone e lo sterno perforato. Conseguenze del massaggio cardiaco e dell’uso del defibrillatore, spiegano dall’Arma. Ma quella manovra, certamente violenta per recare questi danni, sarebbe stata effettuata alle 15,35 da un solo medico, una dottoressa dell’Arma. Nello stesso istante, sempre alle 15,35, due ambulanze sarebbero uscite dall’ospedale per arrivare sul posto dopo circa 10 minuti.

I familiari della vittima non capiscono perché sia intervenuto prima la dottoressa dell’Arma e poi siano arrivate ben due mezzi di emergenza per trasportare il maresciallo all’ospedale Umberto I, dove è morto due giorni dopo.

La ricostruzione

A ricostruire la vicenda è Repubblica. Secondo quanto denunciato dalla cognata della vittima, Teresa Alfiero, il 22 gennaio 2019 alle 16:20, mentre era a casa della sorella, arriva la telefonata di un capitano dei Carabinieri: Eugenio aveva avuto un malore, stava per essere trasportato in ospedale. Ma successivamente emergono altri strani dettagli. Alle 15:35 due ambulanze partono dall’Umberto I per soccorrere il cognato ma a quell’ora un medico, un colonnello dell’Arma, si trovava già nello spogliatoio del circolo dei Parioli con un defibrillatore. I familiari quindi si chiedono perché questo medico fosse stato allertato prima del 118.

Ma non solo: al loro arrivo al pronto Soccorso, i parenti si accorgono che sono molti i militari dell’Arma presenti, alcuni dei quali giunti proprio dal campo di calcetto. Eppure nessuno aveva comunicato le generalità di Eugenio, che era stato registrato come “ignoto 2019014801 ”. I medici “mi facevano notare che era arrivato in ospedale molto in ritardo rispetto a quando aveva perso i sensi: alle 16,46, cioè circa un’ora e 46 minuti dopo“, denuncia la signora Alfiero. Che ci sia stata negligenza nei soccorsi? “Chiedevamo chi fossero i giocatori, dove si era giocata la partita, chi era l’arbitro, se il centro era dotato di servizio medico e di defibrillatore, ma ogni tentativo è stato vano“.

L’appello della famiglia

Eugenio Fasano era arrivato a Roma nel 2006 da Napoli, era sposato e padre di due bambine: era in servizio alla caserma Salaria, nel quartiere Trieste-Salario. I familiari non si arrendono e vogliono fare luce su tutti i diversi punti oscuri di questa dolorosa vicenda, ipotizzando che sia stato vittima di “un’aggressione violenta”. “Chi sa parli” è il loro appello.

 

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