Si è sentito male dopo una partita di calcetto con gli amici, nello spogliatoio, in un pomeriggio che sembrava uguale a tanti altri. Eugenio Fasano, maresciallo dei Carabinieri di 43 anni, non ha più fatto ritorno a casa. È morto all’Ospedale Umberto I di Roma il 24 gennaio 2019, due giorni dopo il malore fatale. Ma la sua morte è ancora avvolta nel mistero.
La Procura ora indaga per omicidio colposo, dalla richiesta dei familiari di riaprire il caso, inizialmente archiviato. Fasano, morto ufficialmente per infarto, aveva almeno 11 costole fratturate, un polmone e lo sterno perforati e un’arteria rotta, secondo la sua cartella clinica. Lesioni troppo gravi per essere semplicemente conseguenza di una manovra di soccorso mal eseguita, sostiene la famiglia. Un altro fascicolo sul decesso è stato aperto dai magistrati che si occupano di casi militari.
Tutti i punti da chiarire
A ricostruire la vicenda è Repubblica. Secondo quanto denunciato dalla cognata della vittima, Teresa Alfiero, il 22 gennaio 2019 alle 16:20, mentre era a casa della sorella, arriva la telefonata di un capitano dei Carabinieri: Eugenio aveva avuto un malore, stava per essere trasportato in ospedale. Ma successivamente emergono altri strani dettagli. Alle 15:35 due ambulanze partono dall’Umberto I per soccorrere il cognato ma a quell’ora un medico, un colonnello dell’Arma, si trovava già nello spogliatoio del circolo dei Parioli con un defibrillatore. I familiari quindi si chiedono perché questo medico fosse stato allertato prima del 118.
Ma non solo: al loro arrivo al pronto Soccorso, i parenti si accorgono che sono molti i militari dell’Arma presenti, alcuni dei quali giunti proprio dal campo di calcetto. Eppure nessuno aveva comunicato le generalità di Eugenio, che era stato registrato come “ignoto 2019014801 ”. I medici “mi facevano notare che era arrivato in ospedale molto in ritardo rispetto a quando aveva perso i sensi: alle 16,46, cioè circa un’ora e 46 minuti dopo“, denuncia la signora Alfiero. Che ci sia stata negligenza nei soccorsi? “Chiedevamo chi fossero i giocatori, dove si era giocata la partita, chi era l’arbitro, se il centro era dotato di servizio medico e di defibrillatore, ma ogni tentativo è stato vano“.
L’appello della famiglia
Eugenio Fasano era arrivato a Roma nel 2006 da Napoli, era sposato e padre di due bambine: era in servizio alla caserma Salaria, nel quartiere Trieste-Salario. I familiari non si arrendono e vogliono fare luce su tutti i diversi punti oscuri di questa dolorosa vicenda, ipotizzando che sia stato vittima di “un’aggressione violenta”. “Chi sa parli” è il loro appello.
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