All’inizio degli anni ‘30 del secolo scorso più di mille docenti universitari prestavano giuramento al regime fascista: altrettanti, oggi, sottoscrivono appelli per il boicottaggio della letteratura scientifica e delle università israeliane, mentre un senato accademico piemontese cede – per rispetto del “confronto” e del “dialogo” – alle pressioni delle squadracce che intimano a quel consesso di non partecipare a un bando del Ministero degli Esteri che compromette l’Italia in una iniziativa di scambio culturale infettata dalla presenza israelita. È pateticamente prevedibile che qualcuno intenderà rinnegare il rapporto di raccapricciante continuità tra i fatti di oggi e quelli riguardanti i mille e più che un secolo addietro assicurarono fedeltà al regime che di lì a poco avrebbe scritto le leggi razziali.

Ma è la negatoria che si esercita nella solita distinzione contraffattoria che fa mostra di insistere solo sulle “politiche di Israele”, e pace se l’opposizione a tali politiche si realizza e trionfa nella pratica di impedire agli scrittori e ai giornalisti ebrei di partecipare a dibattiti e conferenze o, appunto, nelle altre iniziative di boicottaggio organizzate a firma dell’accademia combattente, le versioni light e sussiegose della devastazione dei negozi e delle catene della grande distribuzione complici dei crimini perpetrati dall’Entità sionista. E varrebbe la pena di esaminare con attenzione la natura e la scaturigine di questo negazionismo di secondo grado, che apparirebbe quasi ingenuo, se non fosse spesso maculato di malafede, nel reiterare senza perplessità la sentenza messa in bocca al personaggio di quel racconto di Fred Uhlman (L’amico ritrovato), il virgulto nazista che tranquillizzava il proprio compagno di scuola spiegandogli che il Reich avrebbe saputo fare le dovute distinzioni “tra gli ebrei di valore e gli indesiderabili”.

E questi ultimi, oggi, son tutti quelli che non si dichiarano appartenenti a una schiatta genocida, quelli che non rimproverano a Liliana Segre di fare poco contro il nuovo nazismo in Uzi e filatteri, quelli che non accettano di distribuire vignette con la svastica accomunata alla Stella di David, quelli che non si spellano le mani nell’applauso al segretario generale dell’Onu secondo cui il 7 ottobre non viene dal nulla.

Esaminare con attenzione le fattezze e le cause di questo negazionismo trasfigurato significa smascherare un simulacro repubblicano, vale a dire che il “mai più” consacrato negli interdetti costituzionali e nelle retoriche delle celebrazioni della Memoria costituisce un presidio platealmente incapace di mordere la realtà delle cose, l’evoluire di identici pregiudizi in una girandola soltanto aggiornata di identiche mozioni discriminatorie: esemplarmente precipitate – e peggio per chi non lo capisce – nei documenti professorali che ieri omaggiavano il regime delle leggi razziali e oggi si rivoltano nel ripudio delle compromissioni da cui quello voleva difendere l’Italia. Con il risultato che, oggi, le normative e le proclamazioni profilattiche rivolte a proteggere il Paese dal riproporsi di quelle subdole interferenze costituiscono in realtà una specie di lasciapassare e un motivo, appunto, di negazionismo su base ordinamentale: il pregiudizio anti-ebraico e anti-israeliano che non c’è nei fatti perché è vietato nella legge, e, forse, nei propositi. E così quel pregiudizio scompare, è denegato, ne è rimossa l’effettività, non perché non c’è: ma perché non dovrebbe esserci. E, siccome è vietato, a quello che c’è bisogna dare un altro nome.