Forse ci vorrebbe una proiezione mondiale di “Fantasia”, il capolavoro di Walt Disney. Uno degli episodi più memorabili era quello dell’Apprendista stregone – Topolino basato sulla sinfonia di Paul Dukas, che a sua volta riprende una novella di Goethe: ricordate Topolino che, grazie a una magia, fa lavorare le scope al posto suo ma il sortilegio non si ferma e accade un disastro? L’apologo goethiano era un grande monito all’uomo di non strafare, di non prescindere dal senso del limite. Messaggio attualissimo riferito a ciò che potrebbe accadere con l’Intelligenza Artificiale che domani potrebbe dominare il mondo al posto degli umani: è il cuore dell’ultima opera del filosofo israeliano Yuval Noah Harari, uno dei più importanti intellettuali del nostro tempo, “Nexus – Breve storia delle reti di informazione dall’età della pietra all’IA” (Bompiani, traduzione di Marco Piani, pagg. 598).

I saggi di Harari sono come enciclopedie che ruotano intorno a un oggetto più specifico. In “Sapiens” del 2017 il filosofo israeliano indagava sull’inaudito processo che infine portò a quello che siamo oggi, appunto all’homo sapiens. In questo “Nexus”, Harari parla del futuro che ci attende, dell’Intelligenza Artificiale, la prossima e – dice qualcuno – ultima tappa dell’avventura umana. Per arrivare alle disamine sulla IA e sui suoi rischi, Harari anche stavolta mette su carta pezzi giganteschi di analisi sulla storia umana. Come faccia a condensare in relativamente poche pagine (certo, il libro non è una passeggiata, sono 600 pagine, per quanto scorrevolissime) una bella porzione dell’avventura dell’uomo sulla Terra è un mistero, e viene anche da chiedersi se ci sia realmente bisogno di parlare di Vecchio Testamento e Mesopotamia quando l’interesse del lettore è tutto rivolto al senso delle “reti informative” qui e ora.

Comunque, concatenando storie e pensieri, ne viene fuori una massa imponente di notizie e riflessioni, ma al di là di tutti i voli pindarici parliamo dell’Intelligenza Artificiale, dunque. «Per migliaia di anni profeti, poeti e politici hanno usato il linguaggio per manipolare e rimodellare la società. Ora i computer stanno imparando a farlo. E non avranno bisogno di inviare robot assassini a spararci. Potrebbero manipolare esseri umani per fargli premere il grilletto». È un concetto, quello della potenziale distruttività dell’IA, che lo studioso ripete molte volte (difficile non ripetersi in 600 pagine). Il che ha fatto storcere il naso ad alcuni critici che hanno accusato Harari di catastrofismo, di essere – per riprendere la celebre antinomia di Umberto Eco – più apocalittico che integrato.

«Molte società, sia democrazie che dittature, possono agire per regolamentare un nido responsabile gli utilizzi dell’IA per scongiurarne un utilizzo criminale. Ma se anche solo una manciata di loro non riuscisse a farlo, potrebbe essere sufficiente a mettere un pericolo l’intera umanità», mette in guardia Harari, consapevole che le reti di informazioni sono le strutture fondamentali delle società e che il controllo di quelle informazioni – non necessariamente ancorate alla realtà delle cose – dia origine a finzioni, fantasie e delusioni di massa, che possono portare a sviluppi catastrofici come il nazismo e lo stalinismo, due sistemi che hanno utilizzato le “reti informative” a supporto dei loro fini mostruosi.

Siamo adesso in un momento critico nel quale il gigantesco insieme di informazioni può generare i famosi algoritmi in grado di forgiare “cervelli” non umani. La speranza è che «siamo in grado di creare reti informative equilibrate» impegnandoci per costruire «istituzioni con più forti meccanismi di autocorrezione». Non è molto, detta così. Per cui, chiuso “Nexus”, ne sappiamo di più della storia della Bibbia e del funzionamento delle democrazie e non è poco. Sul futuro che attende il genere umano gli interrogativi restano lì, e non poteva essere un libro – per quanto dotto – a svelarcene gli sviluppi.