"Non dire mai addio"
Parlare e scriversi con i morti, l’intelligenza artificiale ci fa superare la sindrome dell’abbandono ma non senza insidie
“Non dire mai addio” ci esortano le start-up di IA che si occupano di strumenti di gestione del lutto. Lo dicono a noi, comuni mortali, come se potessimo scegliere, come se vivere non significasse anche – soprattutto? – perdere: pezzi, persone, cose, animali, parti del corpo e, alla fine, la vita stessa. Ma come si fa a “non perdere mai qualcuno che amiamo”, come promette il motto della piattaforma online, Yov – You, Only Virtual? Tramite sistemi di comunicazione postumi.
Le tecnologie brevettate consentono agli utenti di parlare, inviare messaggi, videochattare e connettersi con i propri cari anche dopo la loro scomparsa: il valore di mercato stimato è di oltre 300 miliardi di dollari all’anno. You, Only Virtual è stata fondata dopo che l’amministratore delegato dell’azienda – Justin Harrison, specializzato in psicologia clinica – ha rischiato di morire in un incidente motociclistico e ricevuto la dolorosa diagnosi di cancro al quarto stadio della madre. Harrison ha così riunito un team di specialisti di intelligenza artificiale, ingegneri del software e consulenti di alto livello del settore per far progredire la tecnologia esistente e sviluppare un concetto di “aldilà digitale” completamente nuovo.
Ma, in fondo – ammettiamolo – alzi la mano chi non ha mai pensato, “vorrei tanto chiedere consiglio ai miei nonni se solo fossero ancora vivi”. Oppure chi non ha mai sospirato, con amarezza, “se solo avessi qui mia madre per un po’ di conforto!”. Forse, tutti. Perché il lutto è sì un modo per muoversi attraverso le transizioni della vita – e, dunque, un processo e non uno stato – ma come tutti i passaggi – in un primo tempo stretti e scomodi e poi, col tempo, sempre meno aspri – c’è invariabilmente un incrocio pericoloso, un alt a cui si è costretti a fermarsi, un momento in cui la vita alza troppo il tiro. Per questo, esiste ed è attiva da qualche tempo una nuova generazione di aziende che sta promuovendo qualcosa che si avvicina molto al concetto di “immortalità virtuale”. Inclusa l’opportunità di preservare per sempre la propria eredità online.
Come? Accettando di diventare una persona virtuale che sarà immortalata nel cloud per centinaia, forse migliaia, di anni. Se tutto andrà secondo questi piani, le generazioni future potranno interagire con chi non c’è più, tramite dispositivi mobili o piattaforme di elaborazione vocale come Alexa di Amazon, ponendogli domande, suscitando storie e attingendo ai consigli di una vita, molto tempo dopo che il proprio corpo fisico non ci sarà più. Si sa, i rituali che ruotano intorno alla morte possono essere diversi quanto le culture da cui hanno origine, ma da decenni lo schema che seguiamo dopo la scomparsa dei nostri cari è sfogliare vecchi album di famiglia, guardare filmati sgranati e, qualche volta, stamparne i volti su magliette o quadri da appendere al muro.
Negli ultimi anni, addirittura (e ci sembrava il confine più avanzato), commemorarne i ricordi sulla loro pagina Facebook, preservando la memoria digitale. I nuovi prodotti consentono alle persone di mantenere “in vita” i parenti tramite l’intelligenza artificiale, offrendo, ad esempio, una conversazione interattiva con il proprio caro recentemente scomparso, a condizione che la sua voce sia stata registrata prima di morire in un’intervista video. Uno di questi strumenti è StoryFile, azienda di Los Angeles co-fondata da Stephen D. Smith, ex direttore della Shoah Foundation di Steven Spielberg e specializzato nella conservazione dei ricordi dei sopravvissuti all’Olocausto.
Smith ha spiegato: “Abbiamo tutti storie fantastiche da raccontare, e una delle grandi scoperte che ho fatto nel fondare questa azienda è che pochi di noi comprendono veramente l’importanza della nostra storia”. StoryFile utilizza l’intelligenza artificiale per consentire alle persone di parlare ai propri funerali dove i partecipanti possono “conversare” con il defunto tramite un display interattivo che mostra video e audio registrati prima di morire. Anche l’App HereAfter AI consente di registrare storie su di noi e di abbinarle a nostre fotografie: pensate a quella volta che ci hanno ripreso in video mentre scartavamo un regalo o a quel selfie scattato con il mare come sfondo, in vacanza.
Ecco, proprio quelle istantanee di momenti felici possono regalare ricordi “per sempre”, ai nostri cari, come recita il claim dell’app, a familiari e persone care in grado di farci domande sulla nostra vita e sulle nostre esperienze: “La tua voce e le tue storie. Per sempre”. Ma cos’è “per sempre” se non una presa in giro? “Il lutto è una parte importante dello sviluppo che ci consente di riconoscere la mancanza di un’altra persona”, dice Alessandra Lemma, dell’Anna Freud National Centre for Children and Families. E dunque “illudere le persone di potersi anche permettere di non accettare l’assenza di chi ormai non c’è più, significa lasciarle in uno stato di limbo e può creare dipendenza”. Con le sue capacità di imitare la vita, l’IA in molti casi, la imita così bene che le persone credono che sia davvero viva. Così non è. È bene tenerlo sempre a mente.
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