Alla ricerca della politica
Non so cosa vuol dire destra, so che i miei genitori dicevano…
Ho tentato nei precedenti due articoli di mostrare in che modo la parola destra abbia visto i suoi significati nel corso di un secolo liquefatti e raggrumati in molti modi diversi, tanto che è oggi difficilissimo e comunque imprudente tentare di affibbiare l’etichetta di destra a qualche movimento, idea, partito, raggruppamento. Ho usato anche me stesso come materiale di laboratorio per capire, raccontando la mia esperienza nel corso di alcune grandi riunificazione e scissioni della mia vita e della vita degli italiani. Ho ricordato che nel buon tempo antico della politica britannica o quella del Piemonte di Cavour le cose erano facilissime: erano di destra i saggi imprenditori alla legittima ricerca del profitto che cercavano di produrre ricchezza per se stessi, e il minimo indispensabile per i loro dipendenti, ma che comunque stimolavano la ricerca scientifica, l’uso degli strumenti, la crescita anche intellettuale del paese.
Era un piccolo mondo antico in cui si opponeva questa classe conservatrice talvolta saggia e magnanima ma più spesso ipocrita e egoista, ed una classe antagonista di prestatori d’opera non troppo diversi dai fornitori servili, che in Europa hanno seguitato ad esser tali come servi della gleba nel latifondo, dove costituivano una razza a parte (come si può vedere noi quadri di Bruegel) un popolo elementare il cui massimo di letizia stava nelle feste sull’aia per l’ammazzamento del maiale, l’accoppiamento nel granaio, la vendemmia, la raccolta del grano. Nella prima versione del mistero buffo, Dario Fo raccontava dei feudatari tedeschi, i quali avevano una tale cura dei loro contadini da scegliere per loro la moglie adatta e assegnargliela già gravida affinché non avessero ad affaticarsi. Gli artigiani invece, diventati operai con l’industrializzazione, persero le loro autonomie mettendosi al servizio della grande industria. Poi c’erano altri servizi di gleba e di sottomissione spietate come quella di coloro che andavano nelle miniere a partire dagli otto anni quando il corpo è sufficientemente minuto per scavare alla ricerca del carbone.
E così era nato il Quarto stato di Pelizza da Volpedo, con quegli uomini belli e barbuti le donne poppute con l’infante in braccio, tutti in marcia verso il solito Sol dell’Avvenir che era allora l’unico simbolo del socialismo. Anche l’Italia seguiva quelle orme, votava una minoranza di pagatori di tasse secondo il principio per cui non soltanto “no taxation without representation”, ma anche “No representation” se tu non sei un contribuente. Il massacro dell’uomo chiamato dalle campagne e dalle officine a combattere contro macchine infernali, per la prima volta nella storia umana durante la grande guerra, quando furono inviati al massacro generazioni di ragazzini imbottiti di droga e mandati a morire davanti a mitragliatrici, bombe aeree, bombe con gas, mine antiuomo, torpedini marine, tubi lanciafiamme e lanciagranate, spinse il governo italiano a concedere questa novità, che fu il suffragio universale. Donne escluse, si intende. Il suffragio universale donato agli italiani in nome degli enormi sacrifici cui erano stati sottoposti nel mattatoio delle trincee, escludeva le donne che invece in America in Inghilterra e negli altri paesi di lingua inglese oltre che in Francia già avevano riconquistato il diritto di rappresentanza e spesso anche di governo.
Io ricordo perfettamente i quaderni di mia madre, maestra elementare classe 1912. Lei e mio padre avevano 10 anni quando Mussolini ricevette dal re l’incarico per un governo di coalizione parlamentare del tutto costituzionale benché nato dopo tumulti sanguinosi aggressioni e marcia su Roma: sicché i miei genitori posso dire che abbiano vissuto il fascismo di quella che allora era la normalità. I quaderni di mia madre erano ordinatissimi e contenevano dei disegni che io trovavo magnifici con il tricolore con lo stemma sabaudo al centro, le uniformi delle ginnaste fasciste, le rappresentazioni delle adunate ginniche del tutto simili a quelle che avvenivano in Unione Sovietica, in Germania e ovunque si stesse ingegnerizzando una società assegnando a ciascuno ruolo, uniforme, protocolli di comportamento, un modo di parlare, un modo di scrivere, un modo di sentire. Fu proprio Benito Mussolini, ad intuito, a lanciare come proprio il termine totalitarismo. Spesso questa parola è usata a sproposito per indicare qualsiasi dittatura. Ma è un errore. Il totalitarismo in teoria può anche non essere una dittatura e una dittatura può anche non essere totalitaria. Il totalitarismo consiste infatti nella intromissione dello Stato centralizzato in ogni fase della vita di ogni cittadino dalle scuole elementari e anzi dalla materna fino al lavoro o all’università e comunque ai mestieri e professioni includendovi matrimoni servizio militare obbligatorio feste unificanti, capace cioè di suscitare forti emozioni semplici e condivise.
Mia madre era una persona estremamente mite, suo padre era stato assassinato quando lei aveva 9 anni e suo padre, primo Balducci, era un grande intellettuale redattore capo della nuova antologia di cui poi diventerà direttore Giovanni Spadolini, ed era il direttore della biblioteca americana a Roma oltre che un latinista, grecista, ebraista di chiara fama. Aveva idee socialiste e fu ucciso con un colpo di pistola spacciato per accidentale da un carabiniere in una armeria. Il delitto che scosse fortemente l’opinione pubblica fu abbandonato dai procuratori quando il fascismo amnistiò tutti i fatti di sangue e dunque quella parte della mia famiglia crebbe in una felice mediocrità romana di maestre, chiamata a presentarsi in uniforme ogni giorno , e a fare tutto quel che dovevano fare, con un po di mugugno e paura di rendersi troppo visibili. Nessuno di loro era fascista ma nessuno di loro era antifascista. Mio padre era figlio di un antifascista che bocciò il figlio di Mussolini in scienze ricevendo per questo un anno di esilio in un liceo di Civitavecchia dal preside del liceo Visconti di Roma, mentre è noto che la reazione del Duce di fronte alla bocciatura del figlio fu: “Mo’ va là, somaro!” Accompagnato da un ceffone.
Questo mio nonno fece parte della Resistenza di Peter Tompkins, un giornalista americano che aveva vissuto l’infanzia a Roma e che ebbe il grado di maggiore dell’Office of Stategic Service e per questo fu arrestato e a lungo torturato a via Tasso. Mio padre era un ingegnere delle Ferrovie dello Stato e quello era anche il suo servizio militare. Subiva il fascismo come un pesce subisce l’acqua in cui deve pur respirare e la sua avventura più tremenda fu quando Hitler venne a Roma durante la famosa “giornata particolare” del 1938, con un treno supertecnologico, ricevuto alla stazione Ostiense che Mussolini fece costruire in fretta e furia perché è di fronte all’unica piramide europea, la Cestia, da un miliardario romano che pagò una cifra considerevole per passare alla storia e ci riuscì. Mentre si svolgeva la famosa visita del Fuhrer, mio padre ricevette l’ordine da un comandante della milizia fascista di ispezionare il treno di Hitler e di “ricopiarlo tale e quale per farne uno identico per Mussolini”. Mio padre visitò il treno e riferì che quel modello non poteva essere copiato per via del tipo di corrente trifase che non corrispondeva alla nostra monofase e che per farlo si sarebbe dovuto riprogettare l’intero sistema ferroviario. La reazione fu pronta e fascista: “Mascalzone disfattista, la pagherai cara”, ed ebbe un cazzotto in faccia che lo atterrò. Per un paio di volte fu chiamato di servizio come scorta tecnica del treno del Duce.
Una prima volta Mussolini entrò nella cabina di guida mentre il treno imboccava le gallerie della Roma-Firenze. “Quanto è lunga questa galleria?”, chiese il Duce. Prima che mio padre potesse parlare, lo zelante macchinista disse: “Trenta chilometri, duce: è la galleria più lunga d’Europa”. Ma il treno entrato nel buio uscì un secondo dopo alla luce del sole. Secondo mio padre Mussolini disse: “Però!”. E tornò nel suo vagone ducesco. Durante la guerra di nuovo mio padre fu chiamato nel cuor della notte per far parte della scorta tecnica del treno ducesco “fino a Firenze, poi tornerete indietro”. Ma si ritrovò in Russia dove Mussolini era andato a trovare Hitler. Ricordo ancora che nella nostra camera da pranzo campeggiava sul muro una enorme carta geografica d’Europa con tutti i segni a matita rossa e blu dell’andamento della guerra, che andava malissimo e se ne parlava a bassissima voce. Poi di sera si sentiva Radio Londra che cominciava con le quattro percussioni su legno col ritmo dell’Eroica e poi veniva fuori dalla scatola magica questo colonnello Stevens che diceva “Cari amici italiani in ascolto ecco alcuni messaggi: la zia di Alfredo non ha più la vacca comprata al mercato, Giovanni è felice con Adele. Abbiamo trasmesso alcuni messaggi per le forze combattenti”. Poi qualcuno diceva “Piove!” e voleva dire che stavano arrivando i tedeschi o la milizia e che bisognava stare in campana e io non capivo molto perché non avevo tre anni, ma sapevo soltanto che sotto il letto di mia nonna era stivata una grande quantità di patate regalateci illegalmente da amici contadini di Ronciglione.
Era un pensiero infantile molto angosciante, questo del re. Probabilmente era anche un pensiero repubblicano, ma esiterei a dirlo. Tutto, in quella preistoria della politica piena di violenze inaudite e sussurrate era indicibile, impensabile e inclassificabile. Che cosa c’entra tutto ciò con la destra e la sinistra? La prima risposta è che tutto quell’enorme ingombro assassino militare e ideologico non aveva nulla a che vedere con le idee, le opinioni e le scelte.
La seconda risposta è che oggi, mentre scriviamo e leggiamo e respiriamo, definire la destra è ancora un esercizio improprio. Forse potremmo politicamente dire che è di destra tutto ciò che non è di sinistra? Un modo facile per cavarsela, ma che ci riporta nel buco nero: che cosa è oggi la sinistra? Difesa del lavoro o diritti civili? E non sono forse gli stessi campi e dubbi della destra? Un momento: quale destra? Sociale? reazionaria? Oppure liberale e liberista (maledetto liberismo!)? Protezionista e sovranista o aperta ai commerci e alle rotte. Quante pretese. Andiamo per ordine e vediamoci alla successiva puntata.
(3 – continua)
© Riproduzione riservata







