Qual è la caratteristica dell’Italia assolutamente unica in Europa? Manca da decenni un forte partito che si chiami “socialista“ o “socialdemocratico“ e che si riconosca pienamente nella storia di questo movimento. Sarà una coincidenza casuale, ma l’Italia negli ultimi trent’anni ha perso (quanto a PIL) un terzo del terreno rispetto agli altri grandi Paesi europei. Si trova infine (ultima novità tra i casi unici) con gli ex fascisti alla guida del governo.

Il segretario del PSI ha lanciato un appello all’unità dei socialisti dispersi in tutti i partiti o più spesso politicamente in disparte. E’ il solo a poterlo fare, perché il nostro piccolo partito ha forse compiuto molti errori, ma è l’unico che ha conservato una presenza organizzata sempre: per decenni, con l’orgoglio di chiamarsi socialista, di comportarsi da socialista, di tenere vivo il ricordo di cosa i socialisti hanno rappresentato. La crisi democratica evidente ci consente oggi tuttavia di lanciare non soltanto un appello all’unità, ma anche al cambiamento di una legge elettorale che ormai è riconosciuta come la causa principale della crisi democratica stessa. Si dà il caso che i due argomenti si tengano. L’esigenza dell’unità socialista coincide infatti con quella di un nuovo sistema elettorale, il nostro interesse si identifica con quello più generale del Paese.

Il partito socialista, lungo tutto il corso della prima Repubblica, è stato stretto tra la sinistra comunista e il centro democristiano, diviso tra chi voleva allearsi con l’uno oppure con l’altro. Nella fase finale della sua segreteria, Craxi ha immaginato di continuare provvisoriamente l’alleanza con la DC, ma nella prospettiva di un’alleanza a guida socialista con l’ex PCI. Il disastro di Tangentopoli ha gettato una bomba atomica nel cuore del sistema politico, ne ha distrutto il pilastro centrale costituito dai partiti di tradizione democratica (socialisti, democristiani e laici) lasciando in piedi gli ex comunisti e gli ex fascisti. Distrutta l’area democratica di centro sinistra, gli apprendisti stregoni vi hanno sparso il sale, impedendo con un sistema elettorale forzatamente bipolare che su quest’area ritornasse a crescere una forza organizzata.

Questa è la ragione profonda della diaspora socialista: i socialisti, abituati a collocarsi borderline tra sinistra comunista e centro, sono stati costretti a schierarsi elettoralmente a sinistra o a destra e si sono divisi irrimediabilmente (così come gli ex democristiani e laici). Qui stanno anche le ragioni profonde della crisi democratica, tamponata in modo fortunoso dalle personalità di Prodi e Berlusconi (oltre che dell’ancoraggio all’Europa), ma infine esplosa. Chiamiamo queste ragioni con il loro nome. Bipolarismo forzato. Le coalizioni tra partiti disomogenei sono state costrette a stare insieme nel momento del voto, ma si sono sempre divise subito dopo o sono rimaste paralizzate dai conflitti interni. Estremismo. Il bipolarismo funziona quando destra e sinistra sono guidate da chi guarda con moderazione al centro.

Ma, desertificato il centro, ex comunisti e ex fascisti hanno alla fine prevalso. Trasformismo di massa. Gli estremisti (ex comunisti, ex separatisti della Lega, ex grillini, ex fascisti) hanno a turno prevalso elettoralmente, ma sono stati costretti a trasformarsi appunto in “ex” per governare. Il trasformismo ha raggiunto la farsa quando Giuseppe Conte, comparso dal nulla, nel giro di 470 giorni è passato tranquillamente a governare non più con l’estrema destra ma con l’estrema sinistra. Atteggiandosi infine a leader della sinistra più demagogica (erede della peggior tradizione assistenzialista, giustizialista e pauperista). Astensionismo. A ogni elezione, i cittadini che rifiutano il voto sono continuamente aumentati. Anche per la scandalosa sottrazione di sovranità a opera di partiti non più democratici al loro interno, i cui boss hanno imposto con le liste bloccate un Parlamento non di eletti ma di “nominati“.

Mussolini ripeteva: “Noi non siamo la politica, noi siamo l’antipolitica; noi non siamo un partito, noi siamo l’antipartito“. Per decenni lo abbiamo sentito ripetere dai populisti di destra e di sinistra. Adesso non ci si può stupire dell’assenteismo alle urne. Il cui risultato è tanto sconcertante da mettere in dubbio ormai la rappresentatività stessa della nostra democrazia. Il partito della Meloni ha ottenuto infatti il voto di 3 italiani su 19, l’intero centro destra di 7 italiani su 26. Contare per credere! Bisogna farlo e farlo da soli. Perché i media si interessano soltanto di percentuali e di sondaggi, non dei numeri veri. E d’altronde, quanto a risultati elettorali, hanno addirittura stravolto la realtà storica. Tutti infatti credono che il quadripartito guidato da Craxi e Forlani nel 1992 abbia subito una sconfitta catastrofica; che la coalizione di Berlusconi abbia ottenuto nel 2011 un trionfo ( e in effetti è stata la più grande vittoria elettorale degli ultimi trent’anni); che il M5S “miracolato” nel 2018 abbia registrato, come singolo partito, il più straordinario successo mai visto. Tutti lo credono perché così hanno martellato per anni i titoli dei giornali. Ma non è così. A fronte di una platea elettorale sostanzialmente stabile, il quadripartito “sconfitto” nel 1992 ha preso infatti 2.302.000 voti più del Berlusconi trionfante nel 2011 e il M5S “miracolato” nel 2018 ha preso 908.000 voti meno della DC “disastrata” nel 1992.

E’ ora che i socialisti dicano ciò che gli altri nascondono. E’ ora di una grande battaglia che si deve porre due obiettivi strettamente connessi tra loro (come si osservava all’inizio): unità dei socialisti; nuovo sistema elettorale con la cancellazione del bipolarismo forzato e il ritorno al proporzionale. Un proporzionale- non dimentichiamolo – che se ci fosse stato alle ultime elezioni avrebbe impedito la vittoria del centro destra. E ci avrebbe probabilmente dato, con una situazione parlamentare di stallo, un governo non Meloni ma Draghi. La storia non si fa con i “se”? E’ vero, ma per arrivare al proporzionale non ci volevano dei veggenti o degli scienziati della politica. Letta e Conte dovevano semplicemente prendere atto dell’ovvio, ovvero del fatto che i voti di PD e M5S non si sommeranno mai.  Dovevano approvare conseguentemente, grazie alla maggioranza parlamentare di cui disponevano, una onesta legge elettorale proporzionale. Che avrebbe messo in salvo non soltanto loro ma, ciò che più conta, l’Italia.